La storica società di collecting statunitense BMI, attiva dal 1939, non ha mai raccolto e distribuito a a editori, autori e compositori musicali tanto denaro come nell'anno fiscale che si è chiuso il 30 giugno scorso (a dispetto della crisi). I dati parlano infatti di un incasso di 944 milioni di dollari, 814 dei quali elargiti agli aventi diritto sotto forma di royalty (+ 5 % e + 8,5 % rispettivamente). Sono due i principali fattori di questa evoluzione: da un lato il boom dei ricavi generati dagli sfruttamenti digitali del repertorio (oltre 57 milioni di dollari, + 65 % sull'anno precedente e nuovo record in valore assoluto), dall'altro l'opera capillare sul territorio per incrementare i diritti di pubblica esecuzione versati da bar, ristoranti e altri locali pubblici che diffondono musica registrata (116 milioni di dollari, + 7 % e altro picco storico assoluto), mentre gli incassi provenienti dall'estero, 297 milioni di dollari, coprono per BMI oltre il 30 % del totale. "Il successo che registriamo oggi è stato raggiunto in un periodo decisamente di transizione per BMI e per tutta l'industria della musica e dell'intrattenimento", ha osservato il presidente dell'organizzazione Del Bryant. "Siamo attenti alle sfide che la ristrutturazione dell'industria ci pone di fronte, ma nello scenario di oggi scorgiamo anche opportunità senza precedenti. Il nostro repertorio, dinamico e in costante evoluzione, è in grado di raggiungere il pubblico attraverso una miriade di piattaforme in cui la musica è l'offerta principale oppure una parte essenziale del prodotto creativo".