I litiganti, stavolta, sono più di due: e ad approfittarne, da voci che in queste ultime ore montano dalla City londinese, sarebbe la Apple di Steve Jobs, terzo incomodo non pervenuto – magari ad arte, per poter giocare tranquillamente in copertura – all'appello dei pretendenti ancora in lizza per mettere le mani sulla casa discografica Universal Music, prossima alla liquidazione da parte del proprietario francese Vivendi. <br> Di un interesse della casa di Cupertino nei riguardi della major numero uno al mondo si era parlato a più riprese negli ultimi mesi (vedi news): le notizie, che peraltro Jobs stesso si era premurato (con troppa solerzia?) di smentire, davano la Apple disposta anche, eventualmente, ad accontentarsi di una quota di minoranza nella multinazionale transalpina. Ma poi, mentre il gossip tornava ad avvitarsi sui nomi dell'ex proprietario Edgar Bronfman Jr., sul petroliere americano Marvin Davis e su pesi massimi mediatici come Viacom e MGM, della società hi tech californiana non si era più parlato. Il che, stando a quel che insegna la storia, potrebbe anche essere letto come un indizio a suo favore. <br> Per Apple, che oggi gode di altissima considerazione nell'ambiente musicale dopo i successi immediati riscossi dal suo innovativo iTunes Music Store, la presa di possesso di un catalogo come quello di Universal significherebbe una libertà di manovra finora impensabile oltre che un vantaggio competitivo cruciale sugli altri “competitors” che hanno annunciato o fatto intendere di avere programmi bellicosi sul fronte della distribuzione digitale della musica (Microsoft in testa, con Amazon, MTV, Yahoo! e gli altri sulla scia, vedi News). Dovesse essere confermata, la notizia del suo ingresso trionfale nel business discografico significherebbe che una seconda rivoluzione digitale, in campo musicale, sta davvero per cominciare.