Prendendo spunto dagli ultimi dati di bilancio resi pubblici dalla EMI (che segnalano una riduzione sostanziale, da 456 a 390 milioni di sterline, nei costi legati alla gestione del personale, ridottosi nell'ultimo anno di 1900 unità), l'agenzia stampa Reuters e il settimanale specializzato Billboard hanno cercato di fare i conti in tasca ai dirigenti della multinazionale musicale. <br> Risulterebbe, da questa indagine, che le promesse di autoridursi lo stipendio formulate dai top manager del gruppo, sono state mantenute solo in parte, approfittando dei numerosi “benefit” e dei “bonus” agganciati ai risultati nel frattempo conseguiti. Grazie a questi aggiustamenti, per esempio, il presidente Eric Nicoli avrebbe percepito molto più dell'anno scorso: oltre un milione di sterline, contro le 685 mila dei dodici mesi precedenti. Una leggera contrazione, da 3,7 a 3,53 milioni di sterline, avrebbero subito invece i principeschi emolumenti di Martin Bandier, capo storico della EMI Music Publishing protetto da un contratto-cassaforte che lo copre fino al raggiungimento del 65 mo anno di età, garantendogli una liquidazione da 12 milioni di dollari nel caso la EMI dovesse cambiare nel frattempo proprietario e decidere di interrompere il rapporto con lui. Meglio di tutti se l'è cavata il boss europeo Emmanuel de Buretel, che vendendo alla EMI la sua quota del 50 % nelle edizioni musicali Delabel ha intascato dalla major 21,4 milioni di euro. Il suo connazionale Alain Levy (1,2 milioni di sterline nell'ultimo anno) si è accontentato di meno, considerando che il suo predecessore Ken Berry aveva goduto nei due anni precedenti di uno stipendio base di 2 milioni di sterline. Alla fine è proprio lui, il manager transalpino che occupa la sedia numero uno dell'azienda (dopo Nicoli), a fare la figura della cenerentola in questa giostra di milioni da far girare la testa.