E' una questione da sempre sul tappeto: troppe poche donne nei posti di comando e nei ruoli nevralgici dell'industria musicale. Sylvia Rhone e Michele Anthony negli Stati Uniti, Caterina Caselli (fin dai tempi in cui guidava la CGD con il marito Piero Sugar) e Mara Maionchi (quando era direttore artistico della Ricordi) in Italia, tanto per fare i primi - e pochi - esempi che vengono in mente. Ma, come ha fatto rimarcare in questi giorni il responsabile musica e merchandise della catena di negozi HMV Melanie Armstrong - citando tra i pochi esempi locali Alison Wenham e Kim Bayley delle associazioni AIM (etichette indipendenti) ed ERA (rivenditori al dettaglio). oltre a Nicola Tuer della Sony e Andria Vidler ex ad di EMI UK e Irlanda - lo stesso problema affligge il Regno Unito. "Quando ho cominciato a lavorare tra gli scaffali non conoscevo nessuna donna che scalasse le gerarchie nella musica e non pensavo neanche che fosse possibile", ha spiegato la Armstrong (in HMV da diciassette anni) ricevendo a Londra il premio Specsavers everywoman in Retail Ambassador destinato a donne che si sono distinte nel settore del commercio al dettaglio. . "Non sono il tipo da dire che bisognerebbe riservare delle quote occupazionali per le donne, perché penso che si debba dare prova del proprio valore e ottenere un lavoro in base al merito, ma credo che una maggiore visibilità per quelle che si sono fatte strada aiuterebbe a rimettere un po' le cose in equilibrio". "Ci sono un sacco di donne che lavorano nelle etichette discografiche e nel marketing ma se ne vedono poco nel reparto vendite, nei reparti frontline e negli altri settori. E quando si leggono dichiarazioni a mezzo stampa si tratta sempre di uomini. Sarebbe utile che le donne fossero molto più visibili". Il problema era stato sottolineato anche da Charlotte Church durante un suo intervento pubblico lo scorso 14 ottobre, durante una conferenza intitolata al leggendario dj John Peel. Nell'occasione la cantautrice, attrice e presentatrice gallese aveva presentato statistiche della Association of Independent Music (AIM) secondo le quali soltanto il 15 per cento delle etichette associate all'organizzazione sono controllate a maggioranza da donne. Solo il 13 per cento degli autori iscritti alla Performing Rights Society (PRS) risulta essere di sesso femminile, mentre le donne aderenti alla Music Producers Guild sono meno del 4 per cento.