Top manager dell'industria come Howard Stringer (capo supremo di Sony negli Stati Uniti) e Zach Horowitz (Universal) hanno pubblicamente tessuto le lodi della Apple, scorgendo nel successo del suo iTunes Music Store un agognato segnale di ripresa del mercato discografico (vedi News). Ma non tutti sarebbero contenti del modo in cui Steve Jobs, boss dell'azienda di Cupertino, sta gestendo l'emergente business. Dagli Usa arriva infatti la notizia che diversi manager stanno bloccando le licenze d'uso sul repertorio degli artisti che rappresentano: i loro assistiti non sarebbero contenti di vedere i loro album, concepiti come progetti omogenei, acquistati a pezzetti, canzone per canzone, dai clienti del sito. A questa motivazione se ne aggiungerebbe un'altra di ordine economico: alcuni musicisti non ritengono equa l'attuale ripartizione degli introiti stabilita dalla Apple, che su ogni operazione di vendita intasca il 40 % versando un'identica quota alla casa discografica e una royalty del 20 % agli artisti (il contratto sottoposto dalla società è univoco, standard e non negoziabile). La querelle non riguarda naturalmente le cifre, ancora irrisorie, che Apple ha raccolto finora, ma i fatturati che potrebbe generare in futuro, una volta superato lo stadio sperimentale ed entrato nella fase di funzionamento a regime. A proposito del quale c'è già chi comincia a porsi qualche interrogativo: come reagirà lo staff di Jobs ad una probabile moltiplicazione per dieci del volume di lavoro quando, a fine anno, il servizio sarà disponibile anche in versione Windows?