Può davvero funzionare un “merger” tra BMG e Warner, si chiedono in questi giorni i redattori economici dei maggiori giornali americani, mentre le indiscrezioni sul procedere del “corteggiamento” tra le due case discografiche subiscono una temporanea interruzione. <br> A rendere piuttosto dubbiosi gli analisti non sono soltanto i possibili veti delle autorità antitrust (insieme, le due società svilupperebbero un fatturato potenziale di 6 miliardi di dollari e una market share mondiale di circa il 30 %, superiore persino a quella di Universal), ma anche l'ipotetico scontro di culture aziendali che potrebbe verificarsi una volta che le due compagini dovessero venire integrate. Diversissimi appaiono, in effetti, i due capitani degli squadroni Warner e BMG, destinati a giocarsi la leadership della nuova super-major discografica che scaturirebbe dalla fusione. Roger Ames, boss della Warner, 53 anni, nativo di Trinidad, è da sempre un uomo di musica, versato sull'artistico (con la sua London Records lanciò negli anni '80 band come Bananarama e Fine Young Cannibals) e noto per il suo stile colloquiale e informale. Rolf Schmidt-Holtz, il suo pari grado in BMG, che di anni ne ha uno in più, è un ex giornalista televisivo, esperto di TV e editoria, uomo d'ordine e di bilanci che della discografia, invece, è quasi un novizio (vedi News). E anche all'interno dei loro staff direttivi le divergenze “filosofiche” e strategiche appaiono già evidenti: alcuni uomini BMG (lo hanno sussurrato sotto stretto anonimato alla stampa americana) vedono la Warner come un colosso statico, forte di un catalogo di superstar (Led Zeppelin, Madonna, R.E.M., eccetera) ma poco dinamica sul nuovo che avanza (nuovo rock a parte). Di converso, alcuni uomini Warner vedono la BMG come simbolo dell'inseguimento al più effimero successo pop (Christina Aguilera, Avril Lavigne e compagne), e dunque poco incline a sviluppare artisti di lunga durata. <br> C'è da considerare poi il fatto che chiunque assumerà il comando delle operazioni dovrà dar corso a nuovi, inevitabili tagli di funzioni e di organici. E almeno su questo punto i due pretendenti sembrano assomigliarsi un poco: per comprimere le spese della sua azienda Ames, racconta il Los Angeles Times, ha messo il veto ai viaggi aerei in prima classe bloccando dal giorno alla notte gli investimenti pubblicitari sulla stampa di settore. Schmidt-Holtz è entrato anche più nel dettaglio, eliminando persino gli abbonamenti ad alcune riviste e gli snack distribuiti gratuitamente in ufficio per riportare in attivo i conti aziendali.