Fa discutere, suscita inevitabili polemiche e stimola altrettanta curiosità (anche da parte di qualche giornale italiano) la provocatoria proposta di Robert X. Cringely, noto ed eccentrico scrittore, pensatore e giornalista americano da sempre vicino a Silicon Valley e profondo conoscitore del mondo dei pc e dei new media, che dalle colonne on-line del network TV pubblico PBS ha lanciato l’idea di un “figlio di Napster”: un nuovo sistema di file sharing destinato, nelle sue intenzioni, a rivoluzionare i metodi di distribuzione musicale e a spezzare definitivamente il monopolio delle major pur rimanendo nei limiti della legalità. <br> “Snapster” (abbreviazione di “Son of Napster”) è imperniato sostanzialmente sul concetto di “fair use”, l’uso equo e modico delle copie di opere dell’ingegno consentito dalla legge americana sul copyright: il principio, in pratica, che consente a chiunque di farsi legalmente una copia di back-up dei CD acquistati o di trasferirne il contenuto musicale su altri media come le memorie dei lettori MP3 portatili. Poiché il “fair use” esiste solo finché utente e proprietario dell’opera originale coincidono, Cringely ha pensato di aggirare ogni possibile ostacolo legale invitando a costituire un grande fondo finanziario comune tra tutti gli utenti, una specie di cooperativa di cui sono azionisti gli stessi consumatori, che si autoalimenta quotando e vendendo in Borsa una parte del capitale e che si finanzia applicando una tariffa minima (0,05 centesimi di dollaro per scaricare una canzone, mezzo dollaro per un intero album) su ogni download effettuato. Acquistando direttamente sul mercato, con i soldi del fondo comune, i CD da includere nel database (ognuno dei quali è un “master” originale, copiabile nei limiti di legge), tutti gli azionisti/consumatori ne diventerebbero allo stesso tempo comproprietari acquisendo, di conseguenza, il diritto di copiarli e di ascoltarli come meglio desiderano. Per lanciare l’impresa basterebbe, a detta di Cringely, un investimento di circa due milioni di dollari: 1,4 per procurarsi i prodotti musicali(100 mila CD a 14 dollari l’uno, grosso modo), il resto da dividere tra spese legali di costituzione della società, un po’ di marketing, l’affitto della banda larga e l’acquisto di server abbastanza potenti da sopportare un traffico di milioni di download al giorno. E, se i numeri raggiunti dal vecchio Napster, in termini di diffusione, significano ancora qualcosa, il modello di business del downloading a prezzo scontato potrebbe garantire da subito un fatturato tra i 6 e i 60 milioni di dollari all’anno, a seconda della frequenza con cui i soci scaricheranno brani dal server. A quel punto il ricorso al mercato finanziario servirebbe proprio ad allargarne la base e il bacino d’utenza (secondo il principio dell’azionariato diffuso: tendenzialmente, un socio/un’azione), e non a cercare profitti sulle oscillazioni di valore del titolo. <br> Questo, in sintesi, lo schema base di Snapster. Che resta, comunque, una bozza d’idea o un “work in progress”: convinto dalle osservazioni di alcuni avvocati secondo cui la norma del “fair use” non vale quando più persone ascoltano o copiano contemporaneamente la stessa canzone, Cringely ha già ideato una versione riveduta e corretta del sistema, Snapster 2.0, in cui i singoli utenti cedono al fondo comune i diritti di utilizzo delle proprie collezioni private di CD e i server utilizzano un sistema di “lucchetti” per bloccare temporaneamente il download di brani che in quel momento sono già utilizzati da un altro utente. A quel punto, anche al possessore fisico di ogni CD andrebbe una quota della tariffa versata per il downloading. Ma gli artisti? E le etichette? Il sistema, secondo il giornalista americano, non viola i loro diritti e garantisce anche a loro una porzione dei profitti. “L’obiettivo”, sostiene Cringely, “non è di privare le case discografiche di una fonte di reddito, ma di permettere ai consumatori di risparmiare denaro rendendo più efficiente il sistema di distribuzione”. Ma poi aggiunge, maliziosamente: “Se questo modello danneggia inavvertitamente le case discografiche, beh, mi dispiace. Possono sempre investire in Snapster 2.0”. Quanto ai musicisti, secondo Cringely, “non fanno soldi sulla vendita dei dischi ma sugli anticipi che ricevono rispetto a royalty che non matureranno mai. In futuro potrebbero convincersi a non realizzare più dei CD, ma a firmare direttamente un contratto di distribuzione con noi. A quel punto, le royalty verrebbero pagate sul serio, in base ai download a agli streams effettuati”. E se qualche utente decidesse di copiare la sua idea mettendo in rete un clone che elude tutti i diritti? Cringely ha una risposta anche per questo: “Impossibile, la legge vieta ad una cooperativa di investire in un’altra cooperativa”. <br> Resta il dubbio: è un sistema davvero realizzabile, al di là di tutti i dubbi e le interpretazioni legali, o quella di Cringely è solo una provocazione intellettuale?