Strane manovre sarebbero in corso in vista dei prossimi, e ancora lontani, Grammy Awards 2004: ne sarebbe protagonista una delle maggiori case discografiche americane, la Warner Bros. Records, che avrebbe escogitato un modo ingegnoso (già sperimentato, peraltro, da alcune aziende concorrenti) per influenzare l’esito delle votazioni e l’attribuzione degli “oscar” dell’industria musicale USA. <br> A sollevare i sospetti sulla casa di Burbank, California, è la recente registrazione, avvenuta alcune settimane fa, di un album di carole e canzoni natalizie da parte di un centinaio di volenterosi dipendenti dell’etichetta. Iniziativa apparentemente trasparente e a fin di bene (il disco è destinato a raccogliere fondi per i parenti delle vittime degli attentati terroristici in USA), ma che nasconderebbe un retroscena meno edificante: una norma del regolamento stilato dall’organizzazione che gestisce i Grammy, la National Association of Recording Arts and Science, prevede che abbia diritto di voto chiunque fornisca un contributo creativo (inteso in senso lato: da una performance vocale alla realizzazione delle note di copertina) ad almeno sei canzoni incise e messe in commercio durante l’anno. I dipendenti della Warner, recandosi in studio per incidere l’album, avrebbero dunque acquisito il diritto di esprimere i loro voti, ed è facile immaginare che le loro preferenze “partigiane” potrebbero finire per condizionare pesantemente i risultati finali e la designazione dei vincitori (i quali finiscono spesso per beneficiare parecchio dall’esposizione mediatica e televisiva dell’evento: si calcola che Norah Jones abbia visto incrementare di oltre il 300 % le vendite del suo album di debutto, “Come away with me”, nella settimana successiva al suo trionfo ai Grammy, vedi News). <br> I dirigenti della Warner negano naturalmente ogni addebito, ma proprio uno dei capi storici dell’etichetta, Joe Smith (oggi in pensione, e già presidente della stessa Naras), ha ammesso che la manovra della sua ex casa discografica desta qualche sospetto e potrebbe nascondere effettivamente un intento manipolatorio. <br> L’attuale presidente della Naras, Neil Portnow, ha assicurato che terrà le orecchie dritte e ha aggiunto che spetta comunque al suo staff decidere, in ultima analisi, chi sia abilitato a partecipare alle votazioni. Ma proprio la casa discografica da cui proviene, la Zomba, si sarebbe resa protagonista in passato (così come la Universal) di episodi analoghi, confezionando in fretta e furia compilation sospette di brani i cui protagonisti sono impiegati dell’azienda, per un giorno improvvisatisi cantanti. Quel disco, un minialbum di sei brani (appunto) intitolato “Miracle on West 25th street”, sarebbe stato realizzato per puro divertimento, in un momento in cui, lo scorso settembre, il personale dell’azienda viveva momenti di grande tensione dovuti all’assorbimento dell’azienda da parte della Bertelsmann/BMG. Certo non si è trattato di un successo discografico: secondo i dati ufficiali registrati da Nielsen/Soundscan, l’album avrebbe venduto 34 copie…