Tutta colpa di KaZaA, Morpheus e degli altri nipoti di Napster? L’industria discografica americana sembra non avere più dubbi: sono loro i veri responsabili del crollo, apparentemente inarrestabile, delle vendite di CD negli USA. Non è una novità, ma il consuntivo dei primi sei mesi del 2003, appena reso noto dall’associazione di settore RIAA, è più sconfortante che mai e dà un’indicazione di ciò che, presumibilmente, è accaduto o sta per accadere anche nel resto del mondo occidentale: fatturato in calo del 9 %, - 10 % nel numero di dischi venduti (dalle case discografiche ai rivenditori: peggio dell’anno scorso, quando la flessione era stata del 7 %). <br> Qualcuno, tra gli osservatori esterni del mercato, azzarda da tempo che ci siano anche altri motivi, nella crisi sconsolante del mercato musicale: scarsità di prodotti di qualità, errori strategici da parte dell’industria, progressivo consolidamento e concentrazione di potere nel settore musicale, distributivo e radiofonico. Ma i diretti interessati, i discografici, non sono di questo avviso e se la prendono, ancora una volta, con i siti “pirata” di file sharing e con la duplicazione in massa di CD. “Ci sono indubbiamente meno punti vendita al dettaglio di prima”, ha ammesso il presidente della RIAA Cary Sherman commentando i dati diffusi dalla sua organizzazione. “Ma continuiamo a credere”, ha subito aggiunto, “che l’uso dei servizi illegali peer-to-peer stia danneggiando gli sforzi dell’industria di distribuire musica on-line nel modo che i consumatori richiedono”. <br> A mo’ di mantra beneaugurante, Sherman sciorina i nomi di alcuni artisti a cui la discografia si affida per risollevare le sue sorti nell’ultima parte dell’anno: David Bowie, Mary J. Blige, Sting, Missy Elliott, ma anche i giovani Alicia Keys, Black Rebel Motorcycle Club e John Mayer. Intanto, però, c’è poco da stare allegri: comprese le vendite, in forte declino, di direct marketing, il giro d’affari in USA è sceso a 4,8 miliardi di dollari negli ultimi sei mesi e se il mercato continuerà a restringersi di questo passo, per la prima volta in dieci anni l’industria musicale chiuderà il 2003 con un fatturato inferiore ai 10 miliardi di dollari. Non basteranno naturalmente i progressi resgitrati nelle vendite di CD singoli (+ 26,2 %) e di DVD Video (+ 173,5 %) a tamponare le falle di una barca che fa acqua da tutte le parti. Per questo ci vuole, come auspica Sherman, un mercato on-line regolamentato e rispondente alle aspettative del pubblico: che, al di là dei proclami salvafacciata, delle buone intenzioni e del buon esempio dato dalla Apple Computer, è ancora tutto da costruire.