Universal Music gioca d'azzardo. La maggiore casa discografica del mondo prende di petto, negli USA, il problema del prezzo dei CD nel tentativo (disperato? velleitario? salva immagine?) di porre un freno al file sharing selvaggio e di risvegliare i consumi stagnanti. Anche perché non si tratta, questa volta, di campagne e sconti sul catalogo e sui giovani artisti emergenti, rivelatisi dei palliativi rispetto al calo inesorabile delle vendite (vedi News), ma di un'iniziativa che riguarda le novità e i potenziali best sellers della major (che ha nel “roster” moltissimi grossi calibri come U2, Eminem, Elton John e Shania Twain). Il prezzo di listino di questi titoli, dal 1 ottobre, scenderà dai consueti 17/19 dollari a 13 dollari: il che, considerando le promozioni sul punto vendita solitamente praticate dalle maggiori catene, vuol dire che in alcuni negozi americani i nuovi dischi della Universal potranno costare meno di 10 dollari. <br> Doug Morris, presidente/amministratore delegato della casa discografica e artefice dell'operazione, parla convinto di “mossa coraggiosa” che “riporterà i consumatori nei negozi di dischi e incrementerà in modo significativo le vendite dei CD”. Il resposnsabile della distribuzione, Jim Urie, ha sottolineato che il nuovo livello di prezzi permetterà finalmente ai negozianti di competere con gli altri produttori di intrattenimento mentre il vice di Morris, Zach Horowitz, ha sintetizzato il senso dell'intera operazione con una frase significativa: “Vogliamo che i consumatori si rendano conto che abbiamo ascoltato ciò che hanno voluto dirci”. <br> Potrebbe essere un punto di svolta per l'intero mercato, anche se qualcuno ha già fatto notare che il ribasso dei prezzi è già pratica corrente nei negozi americani e che l'impatto dell'iniziativa potrebbe essere sgonfiato dal fatto che Universal eliminerà gli sconti ai commercianti e i contributi alle pubblicità sul punto vendita. Ci si chiede anche se l'esempio di Universal verrà seguito da qualcun altro. Horowitz spiega che non sarà così facile: “Sono le nostre dimensioni a garantirci quella massa critica che può dare una possibilità di successo a questa strategia”. <br> Anche per questo l'iniziativa resta per ora limitata agli Stati Uniti. “Lì le cose sono diverse” commenta Piero La Falce, presidente e amministratore delegato di Universal Music, promotore due anni fa (vedi News) di una campagna di taglio dei prezzi sul catalogo che ancora oggi, informa, produce incrementi di vendita del 60 %. “Negli USA gli artisti si confrontano con un mercato mondiale, e i loro contratti, a differenza dei nostri, prevedono il recupero in conto royalty delle spese di registrazione e di altri costi vivi sostenuti dalla casa discografica. E poi le case americane pagano il 6 % di imposta, contro il nostro 20 %. Se ci fosse una riduzione d'IVA del 14 % i nostri prezzi non sarebbero poi così diversi dai loro". <br> Dunque, in Italia, Universal resta per ora a guardare. “L'iniziativa di Morris è lodevole perché va incontro alle esigenze dei consumatori”, conclude La Falce. “Ma per seguire il suo esempio dovremmo contenere i costi risparmiando sullo stampaggio, sulla SIAE e sulle royalty agli artisti contando sulla collaborazione e la buona volontà di tutti. Solo così, e sempre che si produca un incremento effettivo dei volumi di vendita, si può pensare di rendere gestibile l'operazione e di conservare un margine di profitto sufficiente sia all'azienda che ai rivenditori”.