Usciti dall'orbita della major Universal dai tempi di "Saturday nights & sunday mornings" (Geffen, 2008), i Counting Crows si uniscono al sempre più folto gruppo di artisti che fanno causa alle case discografiche ritenendo di essere stati defraudati di una parte consistente delle loro royalty digitali. La questione, sollevata da un caso pilota istigato dai primi produttori di Eminem a cui si sono accodati tra gli altri Toto, Chuck D, Kenny Rogers, Rob Zombie, Sister Sledge, Peter Frampton, George Clinton e gli eredi di Rick James, attiene ai metodi utilizzati dalle case discografiche per calcolare le royalty sui download digitali. Le major, infatti, continuano regolarmente ad applicare la prassi utilizzata nella vendita dei cd, in base alla quale la percentuale mediamente dovuta all'artista si aggira intorno al 15 per cento del prezzo dei dischi. Come i loro colleghi, Adam Duritz e compagni fanno invece distinzione tra "vendita" e "licenza", sostenendo che le vendite su iTunes e altri store digitali rientrino nella seconda ipotesi dando diritto a riscuotere il 50 per cento dei proventi. I legali della band sono pertanto ricorsi presso la Corte Superiore di Los Angeles per richiedere il reintegro delle somme dovute su download e suonerie. L'auditor ingaggiato dal gruppo ha calcolato in oltre un milione di dollari le somme dovute e mai pagate dalla Universal: il grosso riguarda appunto i download, ma nella cifra sono inclusi anche calcoli relativi ai diritti di pubblica esecuzione (183.625 dollari), allla distribuzione di prodotti omaggio e alle spese pubblicitarie. Finora, ricorda Billboard, poche delle vertenze tra artisti e case discografiche sono sfociate in accordi extragiudiziali, uno dei quali è stato siglato da Warner Music con l'ex Doobie Brothers Michael McDonald per la cifra di 11 milioni e mezzo di dollari. Nel 2012 la società dei produttori di Eminem, FBT Production aveva raggiunto un accordo con Aftermath e Universal Music, che peraltro deve fronteggiare in tribunale una class action.