Dopo aver cercato di fotografare come lavorano le radio – chiedendo lumi a sette responsabili di programmazione di altrettante emittenti nazionali e non – a Rockol è parso giusto provare a indirizzare un po’ di luce anche dall’altra parte della barricata, ovvero verso chi – con le radio – ci lavora quotidianamente. Qualche settimana fa abbiamo invitato nella nostra redazione tre titolari di altrettante agenzie di promozione radiofonica (Nicolò Zaganelli di Artevox, Marco Stanzani di Red&Blue e Fabio Gallo di Altoparlante) per una tavola rotonda - condotta dal nostro direttore, Franco Zanetti - che ci illustrasse quali siano le criticità e le problematiche connesse alla loro attività: tra riflessioni sull’apertura (o chiusura) dei loro interlocutori, sui fenomeni (diversissimi da quelli di solo qualche anno fa) che concorrono a far nascere (o morire) una hit radiofonica e sulle dinamiche – ovviamente nascoste al grande pubblico – che regolano le programmazioni delle varie emittenti, non sono mancate rettifiche (se non addirittura smentite) a quando riferitoci dai loro interlocutori abituali. Buona lettura! Zanetti. Il senso delle sette interviste che Rockol ha realizzato con i programmatori radiofonici tra l'ottobre e il novembre scorso non sembra essere stato compreso fino in fondo. E sui social network, a quanto mi è stato riferito, abbiamo ricevuto diverse critiche. La nostra, voglio precisarlo, non era un'inchiesta sul mondo delle radio ma un approfondimento nato da una notizia: la decisione della BBC di non "passare" il nuovo disco dei Muse. Ci era venuta la curiosità di sapere se una cosa del genere sarebbe potuta succedere anche in Italia. Lo abbiamo chiesto ai diretti interessati: come spesso capita, alcuni hanno risposto prendendola alla larga e altri, probabilmente, dicendo delle bugie e sostenendo che anche loro non passano i pezzi che non gli risultano graditi. Vorrei che mi diceste se, a vostra memoria, è accaduto che un nuovo singolo di Vasco Rossi, di Ligabue, di Laura Pausini o di Emma non venga passato dalle radio: perché a me non risulta. Fatta questa premessa, il senso di questo incontro è di farci raccontare da voi come si lavora con le radio, e con quali difficoltà. Da sempre sento raccontare che le radio non danno ascolto agli interlocutori, che li fanno mettere in ginocchio sui ceci per poi fare quel che vogliono. E' così? Se volete, ovviamente, potete fare anche nomi e cognomi... Gallo . A leggere quelle interviste mi vien da dire che quella è la situazione a cui ci troviamo di fronte quotidianamente. La banalità impera e la scusa è sempre la solita. Il nostro non è un lavoro facile e siamo tutti un po' stufi di stare in ginocchio sui ceci. Anche perché nessuno di noi riconosce nella radio un'entità divina guidata da persone depositarie della scienza esatta della musica. Come lavoriamo? Facendo proposte e cercando di 'condirle' con tutto il contorno extramusicale possibile. Tra colleghi, presenti o assenti, si lavora ovviamente con modi, approcci e artisti differenti. Per quanto mi riguarda, il mio lavoro consiste nel prendermi carico di molti progetti - tutti indipendenti, nessuno di essi legato a una major e dunque dotato di un appeal per i grandi network - e svilupparli ognuno per proprio conto. Per anni ho coltivato il sottobosco radiofonico: dalle radio storiche che danno spazio a produzioni rock, indie ed emergenti alle Web radio di oggi, cercando di instaurare ogni volta un rapporto personale e di scavare un piccolo solco in cui trovare uno spazio per qualcuna delle nostre proposte. Rimane l'incognita, il tabù, dell'approccio verso le grandi emittenti. Quando la risposta - una, dieci, cento volte - è sempre la stessa, e cioè che gli spazi editoriali sono vincolati, che palinsesto e programmazione sono saturi, che la proposta qualunque essa sia non è gradita a prescindere, allora bisogna inventarsi qualcos'altro. Si cerca allora di far valere l'originalità del prodotto artistico, gli aspetti legati al costume, i risultati che un cantante o un gruppo hanno ottenuto con l'attività dal vivo, di far "pesare" un percorso storico. Il costume, tante volte, diventa molto più importante della musica. Zaganelli . Occupandomi dei rapporti con tutti i media mi sembra di poter dire che per qualunque progetto discografico le radio sono le più difficili da conquistare, dal momento che adottano criteri di selezione che sono molto diversi, ad esempio, da quelli giornalistici. Nei confronti di un giornale la costruzione di una notizia, la storia dell'artista o le sfumature che riguardano i contenuti di un album possono risultare argomentazioni vincenti per ottenere spazi e visibilità. Con le radio è molto difficile ragionare in quegli stessi termini: il criterio primario in base al quale un programmatore artistico decide di includere una canzone nel suo palinsesto è la rispondenza con quello che (secondo lui) desidera il target di ascoltatori che ha come riferimento. Marziano . Questo lo ammettono anche loro.... Zaganelli . Ed è una scelta legittima, dal momento che si tratta di società che fondamentalmente hanno la finalità di vendere spazi pubblicitari. E' raro che il programmatore si interessi di quel che dice il testo di una canzone. L'importante è che il pezzo abbia un suono coerente con lo stile della radio e che non infastidisca l'ascoltatore. Il quale, non dimentichiamolo, si sintonizza di solito su un'emittente più per affezione nei confronti di uno speaker che per ascoltare musica - in modo distratto, e spesso senza sapere neanche il nome di chi la interpreta. La musica, in molte radio, serve soprattutto a interrompere per un attimo il parlato, a permettere allo speaker di prendere fiato e preparare il suo intervento successivo. Quando mi relaziono con i direttori artistici delle emittenti parto sempre da questo presupposto, sapendo che non è la qualità o il merito delle canzoni il criterio con cui si ragiona in radio. Il motivo principale per cui alcune radio decidono di "passare" certi brani è che emittenti più grosse e importanti li stanno già programmando. Nel momento in cui una canzone risulta essere piacevole e funzionale - ce ne sono decine se non centinaia, non dimentichiamolo, e programmarle tutte sarebbe impossibile - diventa più credibile inserirla in playlist se un tuo competitor lo sta già facendo. Banalmente, la fama di una canzone aiuta la sua inclusione nel palinsesto di altre emittenti. Poliani . Prevale il timore di non salire su un treno su cui sono già saliti gli altri? Zaganelli . Per qualcuno sì, ma non per tutti. In realtà altre volte prevalgono l'individualismo e la voglia di distinguersi. E molto influisce la personalità e il carattere di chi stila le playlist: c'è chi vuole distinguersi e chi invece ritiene giustificato programmare una canzone solo perché è famosa. E' comunque un meccanismo molto complicato. Quando si lavora sul disco di un esordiente, la differenza in termini di notorietà e di successo, in Italia, la fanno una decina di radio, i network in primo luogo. Ci sono radio aperte al dialogo e altre molto più chiuse. Ce ne sono alcune che, poste di fronte a progetti che non arrivano da una major, pongono un filtro quasi invalicabile: nella mia esperienza, la prima di queste è RTL. Zanetti . Cosa succede? Facci un esempio. Zaganelli. . Il referente incaricato dei rapporti con noi promoter, a RTL, è Tiziana Baudo, che a me da qualche anno risulta fondamentalmente irreperibile. Non voglio colpevolizzare nessuno: sappiamo che RTL si basa sostanzialmente sul format della hit radio. Se non ho in mano una hit, un pezzo che sia arrivato almeno nella Top 50 dei brani più trasmessi, non posso neanche cercare di affacciarmi alla loro porta. Se però un network gradisce il nuovo brano, per esempio, di Max Gazzé, lo mette subito in programmazione senza aspettare che diventi una hit. Il discorso vale per tutti quegli artisti che, pur non essendo Ligabue o Vasco Rossi, hanno una storia e una notorietà anche radiofonica. Se invece si tratta di promuovere il disco di un esordiente, è difficile aprire un dialogo: chi fa il nostro lavoro sa perfettamente che a RTL è Lorenzo Suraci in persona a decidere quali canzoni devono andare in onda. Zanetti. La scelta cade sul personaggio, piuttosto che sulla qualità della canzone? Gallo . Direi proprio di sì. Stanzani . Concordo: ci sono radio che basano gran parte delle loro scelte sulla notorietà di chi canta piuttosto che sulla qualità della proposta e RTL è una di queste. A chi, come me, lavora tanto su progetti underground che su artisti molto popolari, è capitato di vedere programmare pezzi che pure non avevano riscosso un gradimento particolarmente elevato da parte dell'ufficio artistico della radio. Ci sono emittenti che cavalcano la notorietà a prescindere. Uscissero oggi i nuovi Lùnapop a cantare "Imagine", una radio come RTL continuerebbe probabilmente a preferirgli il pezzo, anche meno valido, di un artista già affermato. Dipende dalla linea editoriale. Ci sono radio che solo di recente hanno ripreso a staccarsi da questo trend: ad esempio Deejay che, dopo una fase in cui aveva rimesso in onda i Pooh e Renato Zero spostandosi verso l' "adult", è tornata per volontà del suo direttore Linus a fare scelte più coerenti con la linea storica degli anni '90 quando si privilegiavano soluzioni più "giovanili" e proposte più fresche. L'estate scorsa, per fare un esempio, Levante è stata programmata solo da Radio Deejay. Se fossimo stati a metà anni '90 probabilmente sarebbe stata una hit radiofonica devastante... Zaganelli. Ci ho lavorato io, su quel progetto, ed era l'esempio a cui mi riferivo poco fa. "Alfonso" non l'ha passata solo Radio Deejay, però, ma anche Kiss Kiss, così come Rai Radio Uno e Radio Due e alcune emittenti regionali che influiscono sulla classifica dell'airplay come Radio Norba, Radio Company e Radio Bella & Monella: siamo entrati nella Top 50 ma senza salire oltre. RTL, RDS e Radio Italia non l'hanno comunque voluta trasmettere, anche se abbiamo fatto i salti mortali. Zanetti. Mi rifaccio a quanto diceva prima Gallo: se nel testo non ci fosse stata quella frase, "che vita di merda", il pezzo l'avrebbero passato comunque? Gallo . "Pop porno", anni fa, fu la stessa cosa: quando la gente ha la possibilità di canticchiare in una canzone parole come merda e porno ci prova gusto. Deejay lo capisce e si fa carico di lanciare un messaggio a cui altri si allineano, ma Radio Italia, RDS o 105 ti rispondono che quella non è la loro linea editoriale, neppure se il brano passa in televisione. Se fosse stato Gianni Morandi a cantare un pezzo così probabilmente non si sarebbe ottenuto lo stesso risultato. Ha smosso le acque perché l'ha cantato una ragazza dall'immagine fresca e si è riusciti a vestire quel messaggio con uno slogan. Zanetti . E' mai capitato che le radio vi stupissero accogliendo contro ogni vostro pronostico un pezzo in playlist? Zaganelli . Mai successo. Quando ho la sensazione di avere in mano un pezzo che può funzionare, da certe radio non mi aspetto comunque nulla, perché uno su un milione ce la fa. Ma quando sono convinto che il pezzo non abbia le prerogative per diventare un successo radiofonico va sempre a finire così, non ci sono sorprese. Stanzani . Bisogna distinguere i momenti storici. Oggi credo anch'io che sia estremamente improbabile trovare inaspettatamente ai vertici dell'airplay una canzone su cui non si erano riposte grandi aspettative: sono talmente chiare e lampanti le scelte editoriali dei nostri referenti che ormai ci relazioniamo a loro con un margine di errore veramente esiguo. Io lavoro a compartimenti stagni: ho un roster di artisti molto popolari e so a chi rivolgermi per promuoverlo attraverso il mezzo radiofonico; ma ho anche artisti esordienti e altri già noti ma bisognosi di un rilancio o di un riposizionamento; in quel caso bisogna mettere in atto delle strategie più mirate. Quello rimane l'aspetto più eccitante del nostro lavoro. Marziano . Eppure, oggi, i fenomeni non nascono anche dal basso, spontaneamente nell'ambito dei social network? Stanzani . Io credo che la radio non produca più nessun "tormentone": l'ultimo è stato probabilmente il Pulcino Pio che però, non a caso, non si è sentito in radio ma si è propagato attraverso la rete. Mi sembra che la radio si comporti oggi come si comportava una volta la stampa quotidiana: cavalcando ciò che già funziona per consacrarlo. Non esiste più la radio "di flusso" degli anni '90, in cui la musica era un elemento preponderante. L'avvento di Internet e l'accesso dei giovani alla musica attraverso altri mezzi ha costretto anche i vecchi feudi "teen" come Radio Deejay ad allargare i servizi giornalistici, a dare notizie e a cambiare il tono della conduzione. E' cresciuta la percentuale di speakeraggio mentre le canzoni, che una volta erano l'elemento centrale della radio, sono diventate "'pausa musicale", il collante che deve convincere il pubblico a non cambiare canale prima che il dj riapra bocca. Lì in mezzo ci devo mettere "Imagine" di John Lennon, non posso metterci un gruppo o un cantante alle prime armi. La scelta è mirata sulla notorietà con una preponderanza del repertorio internazionale su quello nazionale, 70 %contro 30 %. Se arrivi sul mercato con un prodotto di ottimo livello in contemporanea con Vasco Rossi, Ligabue, Jovanotti o Tiziano Ferro puoi sperare solo nell'avvedutezza e nella lungimiranza di qualcuno che abbia il coraggio di osare un po' più degli altri. Altrimenti devi andare alla ricerca di strategie alternative. Zanetti Tutti, anche quando si parla di radio, pensano al pubblico giovane. A me invece pare che il bacino di utenza della musica, ormai, sia costituito soprattutto da adulti. Le stesse case discografiche continuano a mirare a un segmento di pubblico che non è più quello che determina dei risultati economici. Zaganelli . Io credo che anche oggi siano soprattutto i giovani a comprare i dischi. Sono loro che si entusiasmano per gli artisti preferiti portandoseli con sé per il resto della vita, un po' come è successo a tutti noi. Zanetti . Resta il fatto che se guardiamo le classifiche degli album italiani più venduti degli ultimi dieci anni ci troviamo tutta gente che ha cominciato la carriera non più tardi degli anni '80. Stanzani . D'altra parte artisti come One Direction, Fedez o Moreno vanno in testa alle classifiche di vendita rivolgendosi a un pubblico estremamente giovane e anche se non vengono cavalcati dal mezzo radiofonico. Il caso degli One Direction è esemplare: milioni di dischi venduti nel mondo, biglietti dei concerti bruciati in prevendita e non una radio che programmi i loro pezzi. Zaganelli. Succedeva anche con i Finley dieci anni fa. MTV aveva sposato un progetto che le radio fondamentalmente non promuovevano... Zanetti . E quindi le radio non servono? Zaganelli. . Non sempre. Ma a volte sì. Stanzani . Come dicevo prima, la radio serve a consacrare il successo di un progetto la cui origine risiede ormai quasi sempre nella rete. Gallo . Mio figlio, che ha dieci anni, condivide con gli amici i link e i video di Caparezza. I ragazzi di quell'età non ci pensano proprio, a comprare i dischi. Né a rivolgersi alla radio per informarsi sulla musica. Zanetti . Se questa è la situazione, bisognerà attendere che nasca una nuova generazione di professionisti che con le radio non ci lavora più, lasciandole al loro destino? Stanzani . In Red & Blue noi facciamo una distinzione. Abbiamo artisti come Renato Zero che, in forza della loro popolarità, hanno ritardato di un anno la concessione dell'album a Spotify e Deezer perché convinti di poter ancora vendere il supporto fisico allo zoccolo duro dei loro seguaci. Abbiamo poi una seconda fascia rispetto alla quale la strategia promozionale si concentra soprattutto sul tentativo di fare aumentare la richiesta per gli eventi live, in concomitanza dei quali si vende normalmente il supporto fisico. Il terzo "range" riguarda gli artisti nuovi, rispetto ai quali stiamo prendendo in grande considerazione le Web radio universitarie: diversamente dalle vecchie college radio che restavano circoscritte al loro ambito ristretto, Radio Bocconi è potenzialmente in grado di avere la stessa diffusione di Radio Deejay. Già oggi portiamo nelle università artisti importanti con la formula degli "storytellers" così da dare l'opportunità a talenti emergenti di esibirsi in acustico come "opening act". Questa è una strategia che nasce dalla necessità di far fronte all'ostracismo radiofonico che esiste nei confronti dei prodotti nuovi. (Leggi qui la seconda parte della tavola rotonda).