SCF, Società Consortile Fonografici, e PPL, Phonographic Performance Limited, collaboreranno nella gestione dei diritti economici maturati da artisti ed etichette discografiche nei rispettivi paesi di competenza, Italia e Regno Unito. Le due agenzie di “collecting”, che si incaricano di raccogliere sul proprio territorio (e poi distribuire) le somme che ciascun utilizzatore di registrazioni musicali – radio, televisioni, discoteche, negozi, ristoranti, bar, palestre, siti Web, ecc. ecc. – deve pagare ai legittimi titolari in cambio del diritto a diffonderle in pubblico, hanno infatti siglato un accordo di reciprocità, il primo fra i due paesi, che consentirà ad etichette ed artisti italiani di farsi rappresentare direttamente da SCF, quando si tratta di riscuotere royalties in Gran Bretagna, e ai loro omologhi inglesi di incassare tramite PPL gli introiti generati entro i nostri confini nazionali. “E’ un contratto”, spiega il presidente di SCF Gianluigi Chiodaroli, “che ci consente di sviluppare una collaborazione operativa con una delle più importanti società di collecting europee e che favorisce la tutela dei diritti all’estero delle nostre case discografiche, soprattutto quelle più piccole”: anche perché, al di là dell’esperienza e della capillarità di intervento, la società inglese vanta oggi un database elettronico che include oltre sette milioni e mezzo di brani musicali, identificati per data di pubblicazione, interprete, etichetta, autore, edizioni musicali, produttori e persino eventuali remixer. <br> Fran Nevrkla, chairman e ceo di PPL, con cui Rockol ha avuto modo di conversare al telefono, concorda: “E’ così. Se ne avvantaggeranno, ad esempio, artisti e produttori dance che in Inghilterra sono molto popolari, ma non solo: c’è un mercato indipendente florido anche in settori come la musica classica”. Nevrkla è alla guida della PPL, istituzione di antichissime tradizioni (le sue origini risalgono al 1934) da tre anni, ed è il convinto assertore della necessità di creare, in Europa, un reticolo di accordi di collaborazione reciproca tra società omologhe. “A me piace pensare che si metta in moto, in questo modo, un traffico a due sensi: perché non è solo un modo di recuperare più denaro per gli artisti e le case discografiche inglesi, oggi che il panorama concorrenziale si è livellato e anche industrie musicali di altri paesi vendono dischi e fanno affari nel Regno Unito. Questo sistema bidirezionale prima non esisteva, ed era importante crearlo: con SCF, ma anche con le ‘collecting’ che operano in Germania, in Olanda e in altre nazioni (tredici in tutto, finora, Italia compresa). Si tratta di costruire un clima di fiducia reciproco in cui ciascuno abbia la certezza che tutto il denaro generato all’estero dai rispettivi repertori nazionali verrà raccolto in modo corretto e senza inganni, e altrettanto precisamente e tempestivamente ridistribuito tra gli aventi diritto per tramite delle varie agenzie locali”. “Non è un risultato così scontato”, aggiunge il presidente di PPL, che rappresenta oltre 3000 aziende discografiche e 25 mila artisti nel Regno Unito. “In passato le agenzie di collecting sono spesso state viste, a volte dai loro stessi membri, come organizzazioni provinciali, gelose dei loro dati, fortemente resistenti al cambiamento. Oggi, invece, vogliamo costruire un sistema moderno di gestione dei diritti fondato sulla trasparenza, sull’efficienza, sulla rapidità e la facilità d’uso e di comprensione”. <br> Di fronte al “topolino” SCF, nata appena tre anni fa e mezzo fa e con incassi stimati per il 2003 intorno ai 19 milioni di euro (vedi News), PPL è ovviamente un colosso: che lo scorso anno ha raccolto per conto dei suoi associati 76 milioni di sterline (109,7 milioni di euro circa), 45 sotto forma di diritti di broadcasting radiotelevisivo e 31 dai circa 200 mila negozi, ristoranti e discoteche che diffondono pubblicamente in Gran Bretagna musica registrata. “Certo”, riflette Nevrkla, “mi risulta che i diritti di broadcasting in Italia non superino il 2 %, mentre in Inghilterra radio commerciali come Capital e Virgin pagano fino al 5 % del loro fatturato pubblicitario netto: e ciò nonostante molti, soprattutto tra gli artisti, pensano ancora che sia troppo poco. Mentre molti pubblici esercizi pagano non più di 80 sterline all’anno per il diritto di diffondere musica 24 ore al giorno, sette giorni la settimana. E non si pensi che non abbiamo i nostri problemi a far valere i nostri diritti (ma allora non è vero, che solo in Italia….): abbiamo solo quattro o cinque persone che compiono verifiche sul territorio svolgendo quella che, in un certo senso, si può considerare un’attività di polizia. Sarebbe utile che esistesse un organismo comune, a livello internazionale, per coordinare il lavoro delle collecting nel modo in cui la CISAC funziona per le società degli autori. Mi auguro che qualcosa del genere si possa realizzare, ma ho i miei dubbi: ci sono ostacoli legali, la possibilità di un veto da parte di qualche organo antitrust o di qualche governo”. <br> Per intanto, Nevrkla si dichiara soddisfatto di aver contribuito ad aprire il “traffico a due sensi” tra l’Inghilterra e gli altri principali paesi europei. “Io lo vedo solo come un punto di partenza, perché c’è un aspetto politico importante quanto quello operativo: un sistema di gestione più efficiente e trasparente ci permette di essere più credibili di fronte alle autorità politiche nazionali e comunitarie, soprattutto oggi che il copyright è messo continuamente a repentaglio. Non dimentichiamoci, noi e chi ci governa, che la proprietà intellettuale e l’industria culturale rappresentano una delle nostre poche risorse concorrenziali, in prospettiva, rispetto alla pressione competitiva che arriva dall’Estremo Oriente e dagli altri paesi emergenti”.