Un parere interessante e fuori dal coro, a proposito della influenza deleteria che i download gratuiti da Internet eserciterebbero sulle vendite di CD, arriva dal contitolare di Hoodlums (un piccolo negozio indipendente localizzato a Tempe, in Arizona), sentito nei giorni scorsi come testimone dalla commissione d’inchiesta del Senato USA che sta valutando la legittimità delle iniziative intraprese dalle case discografiche associate alla RIAA (Recording Industry Association of America) contro i file sharers (vedi News). “Vendiamo dischi ogni giorno ad appassionati di musica che scaricano regolarmente musica da Internet”, ha detto il commerciante americano, Steve Wiley, il cui esercizio ha aperto i battenti nel 1998, agli albori dell’era di Napster, e si trova nel cuore della università statale dell’Arizona. “Siamo contro chi non vuole pagare la musica”, ha precisato, parlando a nome anche di altri rivenditori indipendenti, “ma anche contro chi indica nel file sharing la causa principale di tutte le disgrazie dell’industria musicale. La diffusione del peer-to-peer sembra piuttosto un capro espiatorio conveniente per quei discografici e rivenditori che hanno prosperato quando si trattava di convincere la gente a sostituire con i CD i vecchi LP ma che oggi hanno perso contatto col mercato e non sono capaci di adattarsi alle nuove esigenze dei consumatori”. Secondo Wiley, che dice di aver raggiunto il suo massimo fatturato proprio il mese scorso, la crisi di mercato sarebbe piuttosto dovuta ai prezzi alti e all’incapacità dell’industria di sfruttare, almeno per ora, le potenzialità concesse dalla distribuzione digitale. “Smettetela di prendervela con i ragazzini”, ha invocato in chiusura del suo intervento il commerciante dell’Arizona, invitando case discografiche e politici a “smettere di perseguire i consumatori e a cercare piuttosto il modo di soddisfarne i loro desideri”.