Da una parte c'è lui, il working class hero per definizione, che non ha mai avuto paura di scagliarsi contro le iniquità del mondo musicale (e non solo), e dall'altra c'è il colosso svedese accusato da più parti (e da voci tutt'altro che secondarie, come quelle di Peter Gabriel, Thom Yorke, Stephen Malkmus e molti altri) di sfruttare gli artisti corrispondendo percentuali sui diritti da fame: Billy Bragg ha firmato un contratto con Spotify che lo vedrà condurre sulla nota piattaforma streaming svedese una serie di show di impianto radiofonico. La prima puntata della serie di interventi - che vedrà il cantante proporre e commentare playlist create ad hoc attingendo al catalogo della società - debutterà domani, martedì 11 febbraio: "Il mio scopo è quello di presentare al pubblico alcuni artisti magnifici presenti nel catalogo di Spotify", ha spiegato Bragg, "Per esempio, uno dei miei cantanti degli anni Cinquanta preferiti si chiama Louis Prima: Spotify in archivio ha un centinaio di album suoi o in qualche modo correllati a lui. E ci sono tantissimi altri nomi altrettanto meritevoli, che fino a poco tempo fa erano destinati ad ammuffire sugli scaffali dei negozi di dischi di seconda mano". Non dovrebbe stupire, per certi versi, l'alleanza tra l'eroe della canzone di protesta britannica e la multinazionale svedese: già lo scorso novembre lo stesso Bragg invitò i colleghi critici nei confronti della società guidata da Daniel Ek a concentrare la propria attenzione più sulle proprie etichette che sul contratto che calibra la revenue sharing tra Spotify e artisti. "Quelle tariffe sono la migliore spiegazione di perché gli artisti, nell'epoca del digitale, siano diventati una componente così insignificante per Spotify", spiegò il cantante in un post apparso sulla propria pagina personale di Facebook: "Chi oggi cerchi di tutelarsi lottando contro Spotify non sta facendo che la stessa cosa fatta dai propri omologhi che negli anni Ottanta vedevano nel Walkman della Sony un nemico da combattere. Le abitudini dei fan stanno cambiando, e il nostro dovere di artisti è quello di adattarci, non di difendere a spada tratta un determinato modo di fruire la musica". Di tutt'altro avviso è, invece, Rosanne Cash, figlia del gigante del country americano Johnny Cash, recentemente tornata sugli scudi con un nuovo album, "The river and the thread", che sta riscuotendo un buon successo commerciale: "Ho chiesto al mio editore di mandarmi il consuntivo di quando guadagnato grazie a Spotify negli ultimi anni", ha spiegato lei a Mashable, "Sapevo che sarebbe stato poco, ma il dato definitivo mi ha sconvolto: al fronte di centinaia di migliaia di streaming, mi sono stati corrisposti poco meno di 200 dollari. Lo streaming fa male a chiunque faccia questo lavoro, ma soprattutto ai musicisti più giovani: ne conosco molti che sono stati costretti a rinunciare alla propria carriera e alla propria passione solo perché semplicemente non in grado di sopravvivere. Ecco perché compro CD scarico musica da iTunes, ma Spotify non lo uso mai: sono i miei principi a proibirmelo".