Nel nuovo contesto di crisi e di trasformazione dell’industria musicale, i parametri di un “successo” discografico stanno cambiando rapidamente. Per molti artisti divenuti indipendenti per forza o per scelta, non si tratta più tanto di vendere milioni di copie, quanto di raggiungere il punto di “break even” e di garantire innanzitutto la copertura dei costi di produzione. Un caso esemplare, tra quelli recenti, è quello di Natalie Merchant che, dopo una fortunata carriera legata alla Elektra (gruppo Warner Music), si è staccata dal mondo delle major per fondare insieme al manager Gary Smith un’etichetta autogestita, Myth America Records, attraverso cui ha pubblicato da poco una lodata collezione di canzoni folk antiche e moderne, “The house carpenter’s daughter” (vedi News). <br> Venduto senza intermediari ad una serie di negozi americani e promosso da una campagna stampa ridotta ai minimi termini, il disco ha venduto 68 mila copie in un mese e mezzo, cifra di certo molto inferiore a quella dei precedenti dischi della Merchant ma più che sufficiente a superare il punto di pareggio, fissato a 50 mila pezzi. Si tratta, tra l’altro (e una volta tanto), di vendite effettive, perché l’etichetta della Merchant non dispone dello staff o di un magazzino in grado di gestire eventuali resi: di conseguenza, la vocalist e il suo manager hanno dovuto convincere i singoli dettaglianti ad acquistare le copie del disco senza possibilità di rendere l’invenduto, incoraggiati in questo da una riduzione nel prezzo di listino. <br> L’operazione, che comportava i suoi rischi, sembra aver funzionato, tanto che alcune catene, come Borders Books & Music, hanno già iniziato ad effettuare riordini di un disco che era stato concepito inizialmente solo come un souvenir estemporaneo destinato ad una distribuzione esclusiva via Internet (attraverso il sito dell’artista ne sono state vendute oltre 7 mila copie). Questione di proporzioni e di priorità, insomma, che per la Merchant, da cinque mesi madre di un bambino, sono evidentemente cambiate: “Oggi mi trovo in una posizione in cui non ho bisogno di vendere dischi per sopravvivere; li faccio solo per soddisfare una mia esigenza creativa”, ha confermato all’agenzia Reuters la ex vocalist dei 10,000 Maniacs, stanca degli stressanti impegni promozionali richiesti dallo star system e dai dischi ad alto budget pubblicati dalle major.