Tiziano Ferro, Nina Zilli, Giorgia, Michele Bravi. Ha un bel poker in mano, Fabrizio Giannini, che dopo avere lavorato a partire dal 1980 per CGD, CBS, EMI e WEA/Warner (e avere centrato il bersaglio pieno con superstar come Luciano Ligabue, Laura Pausini e lo stesso Ferro) nel 2007 ha fatto il gran salto: da discografico a manager artistico. "Sono stato bravo e fortunato", racconta oggi. "Nel gennaio di quell'anno avevo appena rinnovato il mio contratto da vice presidente con la EMI, e a maggio lasciai l'incarico. Fu un bel rischio perché la mia non era una scelta obbligata ma una decisione dettata dalla mia volontà. Arrivavo da 27 anni in discografia, quindici o sedici dei quali vissuti da dirigente con benefit importanti e uno stipendio sicuro. I primi due o tre mesi da libero professionista non furono per niente facili. Pieni di dubbi, anche se appena uscito dalla EMI avevo rifiutato altre due proposte per rientrare subito in discografia". "Devo ringraziare una persona, se ho intrapreso un cammino che oggi mi appaga pienamente", aggiunge, "e questa persona è Tiziano (Ferro). L'avevo scoperto, avevo firmato il suo primo contratto discografico e avevo sviluppato con lui un bel rapporto di amicizia. Negli ultimi due anni, però, ci vedevamo sempre di meno e quando capitava mi faceva notare che sembravo un po' assente, persino triste. Ero un po' scarico, in effetti, perché con l'aumento delle responsabilità veniva meno il rapporto quotidiano con gli artisti, la mia specialità e la cosa che mi ha sempre entusiasmato di più. Fu lui, a quel punto, a suggerirmi di fargli da manager". Un salto importante anche dal punto di vista del know how e delle competenze necessarie? "Avere acquisito una lunga esperienza nel marketing, nella promozione e nell'A&R discografico torna molto utile. Solo che ora quell'esperienza la applico da un'altra prospettiva, quella del 'socio' dell'artista: perché non va dimenticato che gli interessi del discografico e quelli dell'artista non sono mai perfettamente coincidenti. Poi, in questi anni ho imparato anche molte altre cose: ad esempio sul fronte del live, che prima non conoscevo". Ma la competenza, sostiene Giannini, non è tutto. "La prima qualità di un buon manager è saper instaurare con i propri assistiti una relazione improntata alla trasparenza e alla franchezza. Si discute, ci si dice le cose in faccia, si condividono scelte e strategie. Io ho la fortuna di lavorare con persone intelligenti e con cui sono entrato in sintonia. Che capiscono le priorità e le esigenze di una pianificazione. Con Giorgia, ad esempio, ci siamo capiti all'istante. Con ognuno di loro ci siamo adattati reciprocamente, abbiamo trovato uno stile e un modo di collaborare. Questo è il grande vantaggio che si ha nel poter scegliere con chi lavorare. Un discografico si mette al servizio di un cast in gran parte già precostituito. Se occupa una posizione di responsabilità può provare a modellarlo a suo gusto, ma solo fino a un certo punto. Pe un manager è diverso: ogni tanto mi chiedo se sarebbe il caso di dotarmi di una microstruttura, di assumere qualche assistente. Ma poi mi rispondo sempre che quel che mi interessa è conservare il rapporto diretto". "Rispetto ad altri", dice Giannini, "penso di essere un po' anomalo: non sono il genere di manager che vive 24 ore su 24 ore a fianco del suo artista, che non lo lascia respirare e lo accompagna anche a comprarsi le scarpe. E' giusto che ognuno abbia la sua vita e che il nostro resti un rapporto di natura professionale. Se ci fai caso, molti diventano manager non perché arrivino da una scuola o da esperienze specifiche ma per altri motivi. Autisti, amici di famiglia, assistenti personali..." O avvocati. "Il cui ruolo è importantissimo, ci mancherebbe. Qualunque scelta riguardante i contratti va condivisa con loro. Ma oggi tutti si sentono in diritto di consigliare, di suggerire. Ho visto legali e commercialisti parlare di musicisti, di assoli di chitarra...Insomma, allargarsi un po' troppo. Ma un artista deve avere un punto fermo su cui contare, una persona che ascolta tutti ma che poi prende le decisioni nel suo interesse". Non sempre, ammette, è facile conservare quel rapporto di fiducia nel tempo. "A me è successo due volte, di non riuscirci. Avevo seguito con entusiasmo Giusy Ferreri ai tempi del primo album, ma a un certo punto mi sono reso conto che vedevamo le cose in maniera troppo diversa: così ho preferito lasciar perdere. La delusione più grossa, però, l'ho vissuta con Eros Ramazzotti. Ho lavorato con lui per un anno, aiutandolo a firmare un nuovo e importantissimo contratto discografico; ed è stato un periodo piacevole perché Eros è una persona simpatica, cordiale, generosa e disponibile. Quando però si è trattato di cominciare a lavorare sull'album nuovo è diventato tutto difficile. Io ero convinto che fosse arrivato il momento di fare alcuni cambiamenti, lui la pensava diversamente. Ogni cosa io gli dicessi, Eros la riferiva e la ridiscuteva con qualcun altro, e questo sinceramente non mi è piaciuto. Si è incrinato il rapporto, non ci siamo più ritrovati. Ci siamo dati la mano e ci siamo salutati. Peccato, perché ero convinto che con lui sarei riuscito a fare un grande lavoro". Intorno al mondo della musica, in otto anni, sono cambiate tante cose: i social, la musica liquida, gli stili musicali, la crisi che riduce i budget. "E' vero, ma pianificazione artistica e qualità della musica restano sempre gli ingredienti essenziali. Oggi i cantautori sono scomparsi, esistono solo i talent show e la prospettiva si è ribaltata: si diventa famosi perché si è in tv. Onestamente me ne sono un po' stufato Perché ho scelto Michele Bravi, allora? Perché è un ragazzo intelligente e sensibile, che ha nella fragilità un punto di forza. E perché nel panorama della musica italiana rappresenta secondo me qualcosa di nuovo. I social? Alla fine gli ingredienti essenziali restano la pianificazione e la qualità della musica. Per questo a fianco dei miei artisti spendo sempre moltissimo tempo nella ricerca delle canzoni: non facciamo dischi in venti giorni. La qualità alla fine paga sempre, e anche la pazienza. Ho sempre preferito anteporre le considerazioni artistiche ai benefici economici immediati. E' importante la progettualità, affrettare l'uscita di un album solo per approfittare di opportunità economiche anche allettanti può rivelarsi una scelta sbagliata. Meglio aspettare il momento giusto, se non si è ancora pronti".