Il blocco dei siti pirata da parte degli Internet Service Provider è una pratica legale: lo ha sostenuto la Corte di Giustizia dell'Unione Europea decidendo su una causa intentata nel giugno del 2012 da due distributori cinematografici contro l'ISP austriaco UPC Telekabel Wien. Quest'ultimo era stato contestato in tribunale dopo essersi rifiutato di impedire l'accesso a kin.to, ai tempi il più grande portale pirata in lingua tedesca con 4 milioni di utenti giornalieri. "Sono particolarmente rinfrancato dalla forte e chiara posizione che la Corte ha espresso in relazione alla responsabilità degli intermediari per quanto riguarda le violazioni dei copyright", ha commentato il presidente e managing director della sezione europea della MPA (Motion Picture Association) Chris Marcich. "Un Internet sostenibile che vada a vantaggio di tutti deve operare in modo equo e corretto, seguendo regole equlibrate e proporzionate. Tutti, in questo contesto, dobbiamo svolgere un ruolo costruttivo: compresi i motori di ricerca che continuano a indirizzare i consumatori verso siti illegali che agiscono a fini di lucro". Negli ultimi anni - e a dispetto delle resistenze e perplessità di alcuni provider - il blocco dei siti pirata è diventato pratica comune in diversi Paesi europei così come in India, Indonesia, Malesia, Messico, Turchia e Corea del Sud raggiungendo risultati particolarmente efficaci nel Regno Unito e in Italia, dove le misure repressive concordate con gli ISP hanno ridotto drasticamente il traffico di piattaforme come BitTorrent. L'Italia è stato anche il primo Paese europeo a riconoscere a un'autorità amministrativa (l'Agcom) la facoltà di autorizzare direttamente il blocco dei siti.