Nessun commento dei diretti interessati alle voci, riportate a fine settimana scorsa dal New York Post, secondo cui Google sarebbe pronta a versare 15 milioni di dollari per l'acquisto di Songza, specialista della "curation" musicale che offre in streaming playlist compilate da uno staff di esperti (anziché generate automaticamente da un algoritmo) e adatte a diversi stati d'animo, occasioni, occupazioni, condizioni meteo e momenti della giornata. Un asset potenzialmente strategico, dunque, per la società di Mountain View che sul fronte dello streaming - con il servizio in abbonamento Google Play Music All Access e, prossimamente, con la nuova piattaforma sviluppata da YouTube - si trova a rivaleggiare con concorrenti temibili come Spotify, Beats/Apple e (prossimamente) Amazon. Quest'ultima, tra l'altro, risulta essere tra gli investitori di Songza, tanto che il suo responsabile per la musica digitale Steve Boom figura nel consiglio di amministrazione; tra gli altri finanziatori dell'impresa digitale spiccano il direttore vendite della stessa Google in Usa John McAteer e i supermanager musicali Scooter Braun (Justin Bieber) e Troy Carter (già al fianco di Lady Gaga). Lanciata nel 2010, Songza conta attualmente circa 5 milioni e mezzo di utenti attivi (contro i 40 milioni di Spotify e i 70 di Pandora). Ricava gran parte dei suoi introiti dalla pubblicità, anche se dallo scorso anno ha introdotto un'opzione di abbonamento senza interruzione di spot a 99 centesimi di dollari la settimana. A differenza di servizi come Spotify, Beats o Rdio, tuttavia, non consente lo streaming on-demand (l'utente, in pratica, non può scegliere canzone per canzone cosa ascoltare) rivolgendosi principalmente al pubblico "passivo" che ascolta solitamente la musica come sottofondo ad altre attività; indirizzato tanto agli utenti Internet che ai possessori di dispositivi mobili, il servizio limita anche il numero di "salti" di riproduzione immediati da una canzone a quella successiva.