I servizi di streaming non devono farsi la guerra tra di loro o battagliare con le case discografiche per accaparrarsi una fetta maggiore della torta: il segreto, semmai, sta nell'adoperarsi per ingrandire il mercato e aumentare la posta in gioco. Così la pensa Daniel Ek, il fondatore di Spotify che ieri, 16 luglio, ha chiuso con un "Q&A" condotto da Jessi Hempel la conferenza, Brainstorm, che la rivista Fortune dedica ogni anno al mondo della tecnologia. "In Russia il maggior sito musicale è vKontakte, che in quel Paese è l'equivalente di Facebook. Se riusciremo a trasformarne gli utenti in clienti paganti l'industria musicale potrà tornare a prosperare", ha spiegato il trentunenne imprenditore svedese. Richiesto di un parere sulla recente acquisizione di Beats Music da parte di Apple, Ek non si è fatto pregare per esprimere il suo punto di vista. "Non so quanto Apple prenda sul serio lo streaming musicale", ha detto. "Sta diventando sempre di più una società orientata a dettare stili di vita: se si osservano i dirigenti che ha assunto di recente si vede che molti di loro provengono dal mondo della moda. E non riesco a pensare a una società di elettronica di consumo più vicina a quel mondo di Beats". Il passaggio dal modello del possesso a quello dell'accesso, ha aggiunto Ek, "significa che oggi la gente ascolta più musica e più artisti di quanto abbia mai fatto prima". E' anche grazie a Spotify e alle sue playlist "virali" come la Hipster International curata dal fondatore di Napster ed ex presidente di Facebook Sean Parker, sostiene Ek, che la cantautrice neozelandese Lorde ha riscosso grande successo internazionale. Spotify, sottolinea il suo amministratore delegato, è uno strumento promozionale sempre più potente a disposizione delle case discografiche, considerando anche il fatto che gli utenti esplorano volentieri musiche che non conoscono. "Se un utente ha già pagato un canone", ha spiegato alla platea di Brainstorm, "il costo della sperimentazione è virtualmente pari a zero. Quando invece gli utenti sono obbligati a versare denaro per ogni singola canzone tendono a fare scomesse sicure e ad affidarsi ai grandi nomi".