Riprende a pieno regime la routine del mercato musicale con il solito fitto calendario di uscite discografiche, recensioni e interviste e Marinella Venegoni, prima firma musicale de La Stampa, ne approfitta per togliersi "uno scoglio da una scarpa". In un post pubblicato l'altro ieri, 1° settembre, su On the road - il blog che tiene sul sito Web del quotidiano - la giornalista piemontese si scaglia contro l'abitudine sempre più frequente delle case discografiche di riservare privilegi e anteprime esclusive ai gruppi editoriali più potenti: "Succede così ogni volta che c'è un'uscita importante, è un metodo che è diventato legge", scrive. "Una volta Repubblica, una volta il Corriere della Sera, d'intesa con uffici marketing, siti, radio e tv collegate e quant'altro". "Ora", aggiunge, "i giornali non sono più cruciali nell'universo dell'informazione musicale, si sa, e non solo in quello. Però escono, vengono acquistati, lavorano più duro che mai nell'ambito di questo mondo che cambia, si personalizzano, trovano nuove idee. Ma nel nostro ramo - e solo nel nostro ramo, badate bene - debbono soggiacere a quella che è diventata una legge: tutto il resto della carta stampata, dei blog, dei siti musicali che sono tantissimi e coprono tutto il territorio italiano e anche oltre - ricevono un trattamento a dire poco umiliante". La conclusione è amara ("Con tutte le difficoltà che attraversano i giornali (anche i due big, non crediate) è diventato un modo assurdo di lavorare, un balletto costante di esibizione di potere e di menefreghismo sia delle testate che delle promozioni, un farsi asfaltare dai due blocchi che mettono sul piatto la loro potenza, alla quale le major le minor e gli uffici stampa si prostrano. Si lavora così, e al massimo per vendetta, quando si riesce, si trascura la notizia. Vi sembra ancora giornalismo, questo? A me no"), anche se nel post scriptum la Venegoni si aggrappa a una speranza ("Mi rendo perfettamente conto che una qualche differenza comunque c'è, tra pubblicità e informazione. Finché questa differenza riusciamo a farla sopravvivere, vivaddio, il nostro mestiere una ragione la conserva ancora"). Ma non è sempre stato così? Che c'è di nuovo? "Le esclusive ci sono sempre state, però da un paio d’anni questa è diventata la regola, perché la capacità di investimento finanziario delle due testate - due autentiche corporations - ha un’incidenza sulle logiche industriali del mercato che travolge qualsiasi equilibrio", replica a Rockol la giornalista. "Tutto ciò è naturalmente legittimo, ma se non si solleva il problema della difesa della qualità - difesa che si ottiene anche allargando il range degli interlocutori critici - tutti tacciono, con tanti saluti al ruolo di questo tipo di informazione nei quotidiani. Una volta al Corriere della Sera, una volta a Repubblica; gli altri con comodo, dopo, se vogliono, non è che importi molto. Ma il lettore di Catania o di Torino o di Firenze che legga La Sicilia piuttosto che La Stampa o La Nazione, e sia appassionato di musica, non vede più le notizie principali, o le legge quando ormai ne ha avuto eco da altri media partiti dalle esclusive. Molto spesso, quando un articolo esce solo sui due quotidiani major, l’argomento è bruciato e non se ne parla più, anche se è importante. Così va il mondo". "Poi", aggiunge, "sui pezzi inevitabilmente tentati dal compiacimento che queste logiche comportano, stendiamo un velo. Spesso è tutto bello, interessante, importante. Giornalismo? Ma va. Oggi è più semplice criticare Renzi che Ligabue". In Inghilterra o negli Stati Uniti è diverso? "Il fenomeno è molto italiano, pensa che bel primato", risponde Venegoni. "Anche perché all'estero l’informazione sulla musica popolare ha quasi sempre un profilo più alto, la musica è più rispettata nella società, quanto meno quando sono coinvolte figure di artisti e strutture produttive di valore". E dunque il rischio è altro per tutti: industria musicale, carta stampata, lettori. "Partiamo dal fondo. I lettori non hanno più un approfondimento, si accontentano e si sono purtroppo abituati alle voci quasi mai critiche sul web o sui giornali: l’industria musicale ci guadagna perché gli appassionati non sono più indirizzati da un giudizio professionale, e sempre più salgono nel gradimento prodotti di poco valore e spessore, quando non autentiche porcate però sostenute da adeguato battage. L’industria ha interesse che nessuno si metta di traverso, e dunque gli va bene così. Cosa gli importa della libertà di critica? Anzi. La carta stampata, che fa opinione oggi come un tempo per molti altri settori, in questo ambito è alla deriva: la struttura spettacolare della comunicazione audio/video mette ko il lavoro dei giornali, tranne quei due di cui si parla". E il discorso, aggiunge, non riguarda solo le major multinazionali ma anche le piccole etichette indipendenti: "Una 'minor' si lecca le ginocchia quando il suo artista ha una paginata su Corsera e Repubblica… Perché le esclusive sono sempre paginate, naturalmente". Nel suo post, la Venegoni segnala il problema come materia da Ordine dei Giornalisti, da sindacato, persino da "class action". Strade concretamente percorribili? "Anche se so bene che la tutela dell’Ordine e del Sindacato toccano solo marginalmente questo grave problema", riflette, "tieni conto che finora i riscontri sono stati pari a zero. Nel nostro ambiente, in particolare, molti si sono abituati a chinare il capo, avendone in cambio riconoscimenti e inviti e incarichi nei giri vip. Un mucchio di conflitti di interesse in giro, mai così tanti. Robe da sprofondare, altro che far le pulci alla classe politica. Il mio grido di dolore aveva soprattutto l’intenzione di aprire un dibattito, magari dilatando il ruolo dei chiamati in causa e la stessa dimensione del problema". Ha trovato qualche solidarietà tra colleghi e altre testate, questo grido di dolore? "Zero virgola zero. Alcuni colleghi mugugnano ma solo fra loro, molti pensano ai fatti proprii. E’ vero che è la prima volta che si dicono forte queste verità e si fanno i nomi dei giornali fuori dai denti. La prima volta, e questo mette in gioco anche le relazioni tra i giornalisti e gli uffici stampa". (qui il testo completo del post pubblicato da Marinella Venegoni sul suo blog).