Centocinquanta dei seicento artisti o gruppi musicali tuttora sotto contratto con Warner Music International saranno costretti a cercarsi un'altra casa discografica, dopo che il responsabile internazionale del gruppo, Paul-René Albertini, avrà completato i tagli al cast richiesti dal nuovo management del gruppo. <br> In una dichiarazione rilasciata al settimanale Billboard, Lyor Cohen, ex manager Universal e nuovo presidente della major in Nord America, ha minimizzato la portata dell'operazione, sostenendo che gli interventi sul “roster” “fanno parte della normale amministrazione nella gestione di una casa discografica”; ma intanto Warner ha già chiuso circa 250 dei contratti artistici preesistenti nei pochi mesi in cui la proprietà è passata dalle mani di Time Warner a quelle di una cordata finanziaria pilotata da Edgar Bronfman Jr. (vedi News) che ha in Thomas H. Lee Partners l'azionista di maggioranza (49,8 %) seguito da Bain Capital (21,3 %), mentre lo stesso Bronfman controlla a titolo personale il 2,9 % e il 12,5 % attraverso la società Lexa Partners. <br> “Siamo appena a due mesi e mezzo dall'inizio delle operazioni: in questo periodo abbiamo completato il programma di finanziamento, costruito il nuovo team di management e ristrutturato la società. Ora dobbiamo concentrarci sullo sviluppo del business e sul recupero di competitività nei confronti della concorrenza” ha riassunto l'imprenditore canadese a colloquio con Billboard, smentendo che un'offerta pubblica di capitale, una fusione o una vendita della major rientrino nei progetti del gruppo come sostengono invece diverse fonti ufficiose. Il nuovo top team della Warner è tuttora impegnato nel ridurre drasticamente i costi aziendali (l'obiettivo promesso agli investitori è di un risparmio di 277 milioni di dollari all'anno). E ha fatto sapere che oltre a licenziare personale (1000 dipendenti) e a fondere etichette (Atlantic ed Elektra a New York, vedi News) ha provveduto a ridurre tutte le retribuzioni (fino al 40 % per i manager di medio livello) senza risparmiare neppure se stesso: Bronfman e Cohen percepiscono ora uno stipendio base che si aggira intorno al milione di dollari l'anno, molto meno di quanto era diventato la regola negli anni '90; anche se la cifra è destinata a moltiplicarsi per cinque o per sei nel caso di raggiungimento degli obiettivi finanziari prefissati. “Quel che stiamo cercando di fare è di creare una cultura molto più imprenditoriale che consenta a ciascuno di condividere i frutti del successo ma senza creare quel tipo di garanzie che erano diventate la norma negli anni '90”, ha spiegato Bronfman, ottimista sul futuro del business musicale. “Ci sarà una ripresa: quest'anno, il prossimo o l'altro ancora. La distribuzione di musica digitale attraverso i computer o le piattaforme wireless rappresenta una grande opportunità per l'industria e per i consumatori”. E, a dispetto dei tagli, Warner sembra intenzionata a firmare nuovi contratti, con artisti e piccole etichette indipendenti. “Cerchiamo gente con grande talento: manager o artisti. E' il nostro mestiere”, ha confermato Cohen.