Stando a un'analisi pubblicata da "Billboard", la situazione per le band di caratura medio-piccola - che vanno in tour con artisti più grandi e ne aprono i concerti - è piuttosto critica, per non dire disperata. Infatti quella che sulla carta sembra essere una grande occasione per allargare il giro, ottenere visibilità e - perché no - mettere in tasca qualche soldo, si rivela un potenziale disastro annunciato a livello economico. Se sulla visibilità c'è poco da discutere (è ovvio che gli artisti la ottengono, esibendosi di fronte a un pubblico molto più grande rispetto a quello che normalmente fanno), il proverbiale asino casca quando si fanno i conti. E non va benissimo neppure per gli headliner che - anche se non vanno in passivo - comunque non è infrequente che si trovino a intascare il 30% lordo degli incassi totali - somme su cui poi saranno pagate le tasse, peraltro. Secondo quanto stimato da Jamie Cheek (un professionista che si occupa di contabilità dell'entertainment per conto dello studio Flood, Bumstead, McCready & McCarthy di Nashville), un artista headliner vede il 40% dei ricavi di un tour andarsene per coprire le spese, un altro 30% viene speso in commissioni varie e il 30% (ovviamente sempre lordo e da tassare) entra nelle sue casse. Se poi parliamo di gruppi, con più componenti, ovviamente le cifre guadagnate si abbassano ancora, perché il tutto va suddiviso fra i singoli membri. "Billboard" ha poi pubblicato una infografica piuttosto esplicativa per esemplificare i costi e i ricavi per tre differenti fasce di artisti: fascia bassa (cioè quelli che aprono i concerti), fascia media e grandi star headliner. Ebbene, dal grafico (che potete vedere più sotto) risulterebbe che una band di supporto, a fronte di un compenso massimo di 15.000 dollari per una settimana di tour, può arrivare a spendere qualcosa come 25.000 dollari (e tenendo basse alcune voci di bilancio) - il che significa un passivo secco di 10.000 dollari.