Bloccare e tenere sotto monitoraggio costante i siti pirata è un procedimento molto costoso, in termini di tempo e di denaro. Lo si sapeva, anche se fino a oggi erano trapelate ben poche informazioni. Qualche dato in più circola ora in rete grazie a TorrentFreak, che lo ha attinto da una causa per violazione di copyright aperta nel Regno Unito dal marchio del lusso Richemont: a fornire le cifre in tribunale è stato il legale della società Simon Baggs di Wiggin LLP, che in passato ha difeso in cause analoghe numerose case cinematografiche, e secondo cui la sola presentazione di un'istanza di blocco di un sito pirata comporta una spesa di circa 14 mila sterline, più di 17 mila e seicento euro (i detentori dei diritti si devono accollare anche l'onere di comunicare agli Internet Service Provider che provvedono materialmente al blocco eventuali indirizzi IP e URL utilizzati da piattaforme come The Pirate Bay per aggirare il divieto). Le cifre fornite da Baggs sulla base dei casi da lui seguiti personalmente non riguardano le case discografiche: ma è lo stesso giudice Arnold a rilevare che "è ragionevole assumere che i costi in cui sono incorse queste ultime siano di grandezza simile a quelli sostenuti dagli studios": circa 658 mila sterline (831 mila euro), dunque, considerando i 47 siti finora bloccati nel Regno Unito per violazione di copyright. Un costo aggiuntivo è generato dal monitoraggio costante degli indirizzi IP e dei domini utilizzati in rete dagli operatori pirata. Per conto dell'industria cinematografica, spiega TorrentFreak, tale attività di "polizia" è stata eseguita finora in Inghilterra da una società chiamata Incopro che fa capo allo stesso Simon Baggs e che, per la gestione di un database di oltre 10 mila siti illegali e la consultazione di un sito chiamato "BlockWatch", addebita agli utilizzatori un canone fisso mensile più una tariffa d'uso variabile in base al numero di accessi. Secondo il giudice che ha emesso l'ordinanza a favore di Richemont, tale spesa è quantificabile in circa 3.600 sterline (4.546 euro) all'anno per sito: considerando i 47 siti finora bloccati nel Regno Unito, la cifra ammonta dunque a 169.200 sterline all'anno. A queste voci di costo vanno infine aggiunte le spese sostenute da Internet Service Provider come BT, Sky, TalkTalk o Virgin per il blocco materiale dei siti, anche in termini di ore lavoro consumate da staff interno e team legale. La sola Richemont, conclude TorrentFreak, "ha identificato all'incirca 239 mila siti che potrebbero violare i suoi marchi commerciali, 46 mila dei quali sono stati confermati quali trasgressori e sono in attesa di un'azione giudiziaria. Chi pagherà questo conto?", si chiede il blog pro-Torrent aggiungendo due domande implicite: Ne vale la pena? E ha senso intervenire sempre e comunque contro chi copia opere d'ingegno altrui? Su questo fronte, e in un altro articolo pubblicato sul sito, la parola passa a Rick Falkvinge, il controverso fondatore del Partito Pirata svedese che in un suo pezzo destinato a far discutere perora la causa di duplicatori, emulatori e riproduttori: da quel Samuel Slater che nel tardo Settecento rubò i segreti industriali degli inglesi per impiantare la prima fabbrica tessile a New York diventando poi un simbolo della Rivoluzione americana, alle stesse case cinematografiche che si trasferirono in massa ad Hollywood per sfuggire al ferreo controllo esercitato sui suoi brevetti dalla Western Electric di Thomas Edison ("Sì, avete letto bene: tutta la moderna industria del cinema si è fondata sulla pirateria", scrive), fino ai giapponesi che della duplicazione hanno fatto un modello economico di enorme successo prima di passare alla produzione di qualità. "La copia", sostiene Falkvig, "porta occupazione e prosperità. Sono quelli che non accettano la concorrenza che cercano di far legiferare un diritto che gli permetta di riposare sugli allori e di metterla fuori legge. Ma non funziona mai". Non si tratta, secondo lui, di una questione morale, ma "solo di puro protezionismo industriale. O, se preferite, di neo-mercantilismo". Il dibattito è aperto.