E' guerra di cifre, tra l'entourage di Taylor Swift e il fondatore di Spotify Daniel Ek, su quando guadagnato dalla giovane regina del country pop a stelle e strisce grazie ai passaggi streaming totalizzati sulla popolare piattaforma Web: reagendo alle dichiarazioni rilasciate dalla cantante all'inizio di questa settimana sulla sua creatura ("Perché ho tolto il mio catalogo da Spotify? Perché non volevo fare parte di un esperimento ingiusto", chiarì l'artista), Ek lo scorso martedì, in un lungo post pubblicato sul blog del servizio, aveva provveduto a tessere una lunga e appassionata difesa delle società, cercando di sfatare quelli che sono i "falsi miti" ascrivibili a essa. In uno dei passaggi dell'apologia, il co-fondatore e amministratore della piattaforma ha assicurato che prima del gran rifiuto contestuale alla pubblicazione del suo nuovo (e già fortunato, avendo venduto qualcosa come un milione e 700mila copie nelle sole due prime settimane) album "1989" la Swift guadagnasse qualcosa come 6 milioni di dollari l'anno grazie a passaggi fatti totalizzare dalle sue canzoni su Spotify. Cifra, però, che a detta di Scott Borchetta, capo della Big Machine, etichetta fondata dalla stessa cantante, serebbe stata clamorosamente gonfiata: secondo il manager, infatti, negli ultimi 12 mesi la sua assistita avrebbe guadagnato meno di mezzo milione di dollari, più precisamente 496mila e 44 dollari, che sarebbero stati comunque divisi tra etichetta e titolare dei diritti. E, sempre secondo Borchetta, la fuga di Taylor dalla piattaforma sarebbe solo l'inizio: "Sono stato chiamato da molti altri colleghi alle dipendenze di parecchi artisti di primo piano", ha spiegato all'edizione online di Billboard il discografico, "Su questa faccenda c'è nell'aria un grande malcontento".