A parte la rockstar - per la quale sono necessari talento, tecnica, sensibilità, sfacciataggine e anche fortuna, tutti elementi comunque non acquisibili con un semplice percorso educativo/professionale - sono tante le posizioni fuori dai riflettori che l'industria musicale può offrire, e che centinaia di migliaia di appassionati aspiranti professionisti in giro per il mondo. La crisi strutturale che ha fiaccato negli ultimi tre quinquenni quello che anni fa veniva definito music biz ha però portato a una contrazione estrema l'organico, soprattutto in ambito prettamente discografico, riducendo sensibilmente la disponibilità di posti da occupare, e conseguentemente di candidature per farlo. Non è però tutto perduto, per chi ancora sogni di lavorare a stretto contatto con le star del rock e del pop. Che alla contrazione del volume d'affari discografico sia corrisposto un periodo piuttosto prospero per l'industria dei concerti (rimasti, per gli artisti, praticamente l'unica fonte di reddito) non è una novità, e secondo una ricerca del quotidiano economico Wall Street Journal proprio questa potrebbe essere la porta d'accesso a una carriera nell'industria musicale: il live entertainment è al momento l'unico settore in espansione, o almeno dalle fondamenta più solide. E come in tutte le realtà emergenti, le menti (o, almeno, quelle che sarebbero da considerare tali, per ruolo ricoperto) non mancano, a differenza della manodopera. Ecco perché, stando a un'indagine condotta dal giornale di concerto con l'ufficio statistico del prestigioso Berklee College of Music, quella del roadie sarebbe la carriera da inseguire. Convenzionalmente (e ingiustamente) individuato nel luogo comune del burbero e barbuto consumatore di birra, capelli lunghi raccolti sotto a un cappellino, t-shirt con logo classic rock (o metal) a coprire i tatuaggi e pantaloni a mezza gamba d'ordinanza dal quale pendono i ferri del mestiere, il tecnico addetto agli spettacoli dal vivo è un professionista altamente specializzato indispensabile a fare da tramite tra l'artista e il proprio pubblico. Una figura intermedia, certo, ma molto più utile in quanto - appunto - "tecnica", se non altro rispetto al proprio corrispettivo "culturale", ovvero l'impiegato da ufficio da casa discografica (o del relativo indotto) che più di tutti ha pagato la crisi. Il lavoro è duro, certo, e non privo di rischi - e le tragiche vicende che hanno coinvolto Matteo Armellini e Francesco Pinna, pur addetti in mansioni molto diverse, non possono che ricordarcelo - ma sicuramente ricco di opportunità di crescita e di carriera. L'esempio citato dal WSJ è Tom Weber, quarantenne, con un passato da facchino nella no show crew (le squadre di bassa manovalanza non operanti durante il concerto) e con un presente da tecnico delle chitarre con clienti del calibro di Eddie Van Halen e Lyle Lovett. E anche senza arrivare a questi livelli, i compensi per un tecnico specializzato sono di tutto rispetto: si va dai 57mila ai 175mila dollari l'anno, a seconda degli anni di anzianità e della posizione. Il tutto senza la necessità di titoli di studio particolari, perché il livello di ingresso alla professione è sempre piuttosto basso, e non richiede specializzazioni particolari. Perché, come assicura Gary Bongiovanni, firma di Pollstar, testata online specializzata nel live entertainment: "Le opportunità di impiego nel mondo della musica non sono mai state tanto favorevoli come oggi: mentre i lavori da casa discografica sono praticamente scomparsi, quelli da roadie e da tecnico sono in continua crescita"