Rialzano la testa i campioni del file sharing gratuito su Internet, dopo la vittoria strappata nell’ultimo round (finora) dell’interminabile incontro di boxe che li oppone ai titolari dei copyright, etichette musicali e “studios” cinematografici. <br> Venerdì scorso, 20 agosto, una Corte d’Appello Usa ha sovvertito il giudizio di primo grado che aveva ritenuto Grokster e Streamcast (gestore di Morpheus) corresponsabili delle violazioni dei diritti d’autore perpetrate dai loro utenti che rubano musica e immagini su Internet. Le due società erano state citate in giudizio nel 2001 (vedi News) dalla RIAA (l’associazione dei discografici), dalla NMPA (editori musicali) e dalla MPAA (imprese cinematografiche), a cui il tribunale aveva dato ragione incolpando i siti p2p di connivenza con i “pirati”: ma il giudice d’appello Sidney R. Thomas ha mostrato di pensarla diversamente, scagionando Grokster e StreamCast sulla base del fatto che i loro programmi di scambio peer to peer non dispongono di server centralizzati di smistamento del materiale come accadeva con il vecchio Napster, riducendo di molto la possibilità di tenere sotto controllo in tempo reale i traffici in corso sul network. “L’introduzione di nuove tecnologie ha sempre un effetto dirompente sui vecchi mercati, in particolare sui titolari dei diritti le cui opere sono vendute attraverso meccanismi di distribuzione consolidati”, ha argomentato il magistrato. “La storia”, ha proseguito il giudice Thomas, “dimostra che il tempo e le forze di mercato provvedono da sé a riequilibrare gli interessi, qualunque sia la forma di tecnologia: fotocopiatrici, registratori audio e video, personal computer, macchine per il karaoke o lettori Mp3”. <br> Immediate, ovviamente, le reazioni delle parti in causa: l’avvocato Christopher S. Ruhland, un ex legale della Disney proprio nella causa contro Grokster e Streamcast, ha parlato di “Natale agostano per le società di Internet” mentre per Nikki Hemming, amministratore delegato di Sharman Networks (KaZaA), ha definito la sentenza “un risultato fantastico per la comunità peer-to-peer” e “un giudizio che rinforza la legalità del p2p così come già sancito in altre parti del mondo”, invitando le società di entertainment a collaborare anziché a battagliare, perché “la commercializzazione del p2p, e non una nuova legislazione, è la risposta”. Ma il boss della RIAA Mitch Bainwol ha confermato che la sua organizzazione continuerà a esercitare pressioni sul Congresso Usa affinché emani nuove leggi più severe nei confronti dei pirati informatici, sostenendo che la nuova pronuncia giudiziaria “non fa nulla per assolvere le società di file sharing dalle loro responsabilità”.<br> Tutto come prima, insomma: il nodo che strozza il futuro del mercato audiovisivo non si allenta neppure di un millimetro.