Con una sentenza destinata sicuramente a far molto discutere, una corte distrettuale federale di New York ha sancito l’inapplicabilità della legge che punisce come reato penale la registrazione, duplicazione e vendita al pubblico di registrazioni live (i cosiddetti bootleg) negli Stati Uniti. <br> Secondo il giudice Harold Baer Jr., chiamato a dirimere una vertenza innescata dalle agenzie antipirateria e dall’associazione dei discografici americani, RIAA, contro Jean Martignon, un cittadino newyorkese accusato di vendere una gran quantità di live “pirata” attraverso un sito Internet e un negozio di dischi situato a Manhattan, quelle norme sarebbero incostituzionali pur essendo state ratificate dal Congresso, dieci anni fa, in ottemperanza a trattati internazionali: e questo perché, a differenza delle disposizioni che proteggono i copyright sulle incisioni effettuate in studio e sulla musica preregistrata, non prevedono un periodo di scadenza della tutela, che si supporrebbe irragionevolmente illimitata. <br> Spiazzante per l’industria, sembra comunque difficile che la pronuncia apra una nuova stagione d’oro per i CD bootleg, ampiamente superati, ormai, sia dal flusso costante di registrazioni live “ufficiali” da parte di artisti come Pearl Jam, Peter Gabriel e moltissimi altri, sia dalla disponibilità in tempo reale di molti concerti su Internet e attraverso il file sharing. Prima di tutto perché la sentenza riguarda le leggi federali, e non quelle dello stato di New York secondo cui la vendita di bootleg resta punibile penalmente. Poi perché non cancella le sanzioni civili comunque previste in questi casi a carico di produttori e distributori di materiale illecito; e infine perché non fa menzione alcuna dei diritti degli autori e degli editori delle canzoni riprodotte in quei dischi, loro pure tutelati dalle leggi sui copyright. Sicuramente, verrà appellata: “Altrimenti”, ha osservato l’avvocato americano Michael Elkin dello studio newyorkese Thelen, Reid & Priest, “la comunità internazionale si chiederà perché proprio l’America, che si propone come guida del mondo libero nella protezione della proprietà intellettuale, debba venir meno ai suoi accordi commerciali internazionali”.