Finisce davanti alla Corte Suprema statunitense il caso Grokster/Morpheus, i due servizi peer-to-peer che la giustizia americana ha assolto dall’accusa di incoraggiare lo scambio non autorizzato su Internet di materiali audio e video protetti dal diritto d’autore (vedi News). <br> Com’era nelle attese, le associazioni di categoria dell’industria cinematografica e musicale, MPAA e RIAA, hanno deciso di ricorrere contro l’ultima sentenza pronunciata a loro sfavore dal giudice di Los Angeles Stephen Wilson (vedi News), portando la vertenza di fronte alla massima autorità della magistratura Usa: una vertenza, ricordano nei documenti inoltrati alla Corte, da cui dipendono “il valore e il significato stesso attribuiti ai copyright nell’era digitale”. Grokster e StreamCast Networks (la società che ha sviluppato il programma Morpheus), aveva concluso il giudice Wilson richiamandosi a una celebre sentenza degli anni ‘80, non sono diverse dalle aziende che vendono videoregistratori o fotocopiatrici, apparecchi che a loro volta possono essere utilizzati legalmente ma anche per copiare opere protette dal diritto d’autore: e come tali andavano assolte dall’accusa di corresponsabilità per eventuali violazioni di legge commesse dai loro clienti. I legali di Hollywood e della discografia replicano invece che la pronuncia è in contrasto con quella che, in un caso analogo, aveva costretto Aimster ad interrompere l’attività (vedi News), aggiungendo che i gestori di programmi p2p sono consapevoli del fatto che il 90 % degli scambi che avvengono grazie ai loro software sono illeciti. La tesi dell’industria audiovisiva si scontra tuttavia, anche negli Stati Uniti, contro un forte movimento d’opinione contrario che aggrega, tra le altre, associazioni che si battono per la tutela dei consumatori e la libertà di espressione sui media digitali.