Chi colleziona CD e DVD da anni probabilmente avrà notato che talvolta questi supporti, anche se trattati con tutte le cure e cautele del caso, divengono misteriosamente inutilizzabili e si rovinano, semplicemente con il trascorrere del tempo. Quasi una beffa, vista l'aura di "durevolezza" che si tende ad attribuire ai supporti fisici, soprattutto se poi frutto di tecnologie piuttosto nuove. La chiave di interpretazione è un fenomeno che è oggetto di studio da pochi anni ed è stato battezzato "disc rot" - ovvero "la decomposizione del disco". Il segnale più eclatante e inequivocabile di un disco affetto da questa problematica è la comparsa di macchie, aloni e variazioni nella colorazione della superficie dei CD e DVD: è l'indicazione di un deterioramento strutturale del materiale, che nella maggior parte dei casi porta il supporto a essere inutilizzabile. A quanto pare il maggiore indiziato per questa problematica è un complesso di agenti chimici utilizzati nella produzione dei dischetti (agenti per schiarire la plastica, inchiostri...), che col passare del tempo si alterano e provocano il deterioramento della sottile pellicola di alluminio su cui i dati sono scritti. Il fenomeno è stato di recente affrontato in un lungo articolo pubblicato da "Motherboard"; colpisce come il "disc rot" sia un fenomeno che può attaccare i supporti indipendentemente dalle loro condizioni: sono stati registrati molti casi di deterioramento anche in CD e DVD ancora sigillati. Perché, appunto, il vero nemico è la chimica... che si allea col tempo e provoca danni. Paradossalmente, alcuni dischi hanno meno possibilità di rovinarsi se utilizzati, piuttosto che se lasciati sigillati nel loro jewel case, dove sono a contatto con l'inchiostro del libretto. Una brutta faccenda, soprattutto per chi magari ha sostituito intere collezioni di vinile con i CD, credendo di avere in mano un supporto moderno, comodo e indistruttibile.