I ventuno elementi di punta dello staff che sta curando l'organizzazione del prossimo Eurovision Song Contest, in programma a Kiev, in Ucraina, tra i prossimi 9 e 13 maggio, hanno rassegnato le proprie dimissioni: in una lettera aperta pubblicata sulla testata locale Strana, i dirigenti hanno denunciato di essere stati operativamente bloccati lo scorso dicembre dall'arrivo di un nuovo referente del comitato organizzatore, interno al servizio pubblico del paese, l'Ukraine Public Broadcaster. L'European Broadcasting Union, ente europeo che ha ideato la manifestazione canora nel 1956, ha esortato la controparte locale a rispettare la scadenza, nonostante la grave defaillance: secondo l'analisi fornita dalla BBC, l'EBU - grazie al suo potere politico ed economico - potrebbe scongiurare l'annullamento del festival anche in caso la crisi ucraina dovesse arrivare alle estreme conseguenze. Tuttavia l'edizione 2017 del concorso parrebbe essere nata sotto una cattiva stella: la delicata situazione politica del paese - dilaniato da un lungo conflitto con la Russia - e la presa di posizione del leader cristiano ortodosso Mosokovski Komsomolets, che ha condannato la scelta di far ospitare il festival dal complesso architettonico che include anche la cattedrale di Santa Sofia, hanno da subito posto gravi ostacoli all'organizzazione della manifestazione. A complicare ulteriormente la vicenda è stata la decisione della EBU di alzare il budget del festival da 22 a 29 milioni di euro, seguita dalla decisione del dg del servizio radiotelevisivo pubblico ucraino, Zurab Alasania, di rassegnare le proprie dimissioni: un passo, quello del diretto, compiuto dopo aver espresso grande preoccupazione circa la sostenibilità finanziaria, per il suo paese, dell'organizzazione dell'edizione 2017 dell'Eurovision Song Contest.