Sarà uno spauracchio per Hollywood e per le major discografiche, il file sharing non autorizzato, ma a cantanti e musicisti che nuotano fuori dal “mainstream” non sembra dare poi così fastidio: queste, almeno, sono le conclusioni a cui perviene un recentissimo sondaggio promosso dall’ente non profit Pew Internet and American Life Project (consultabile per intero al sito Web dell’organizzazione, www.pewinternet.org). Gli artisti intervistati dalla ricercatrice Mary Madden (809 si sono dichiarati tali e sono stati ascoltati al telefono, altri 2.755 sono stati rintracciati on-line) si spaccano quasi a metà tra coloro che imputano ai sistemi peer-to-peer una indebita sottrazione di royalty (sono il 47 %) e quelli che invece ne apprezzano l’aiuto involontario alla promozione e distribuzione delle loro opere (il 43 %). Pur nella condivisa convinzione che il file sharing non autorizzato sia un’attività illegale e che come tale vada punita, solo il 28 % è convinto che gli scambi p2p possano rappresentare una grossa minaccia alla loro attività, e una fetta importante, oltre i due terzi del campione, pensa che non dovrebbe preoccupare più di tanto neppure l’industria discografica (di cui molti non condividono neppure le azioni giudiziarie rivolte contro i privati cittadini accusati di pirateria musicale). <br> “Nonostante i problemi reali che pone in termini di protezione”, conclude la Madden, “Internet ha aperto agli artisti modi nuovi di esercitare la loro immaginazione e di vendere le loro creazioni”. Magari fa venire l’orticaria agli U2 e a Kylie Minogue, ma il caso esemplare dei Wilco (vedi News) e di tante altre band più o meno indipendenti e/o sganciate dallo star system fa capire che non per tutti è così.