Dal libro "Rock Therapy" di Massimo Cotto (Marsilio) proponiamo una "pillola" terapeutica: la malattia di oggi è il mal di Francia. Le port d’Amsterdam Jacques Brel Enregistrement public à l’Olympia 1964 [live], 1967 Nessuno ha fatto l’amore con Parigi meglio di Jacques Brel. L’uomo che diventerà uno dei più grandi cantori del Novecento nasce a pochi minuti da Bruxelles. Comincia a cantare nei locali, nel disinteresse generale. Un giorno capita tra il pubblico Jacques Canetti, fratello del più famoso Elias. Canetti significa nuova alba, Canetti significa Parigi. Il giovane Brel si trasferisce nella Ville Lumière, per cinque anni. Canetti lo fa esibire nel suo locale, il Trois Baudets, dove Jacques è costretto a sopportare le prese in giro sui belgi, che i francesi considerano cittadini di serie C2. Per cinque anni mangia solo tramezzini al camembert e pommes frites. Si nutre di musica, accetta di esibirsi ovunque, arriva anche a sette locali per notte, dalle otto di sera fino all’alba. Uno di questi luoghi è il Gaumont-Palace, un cinema di Pigalle. Jacques canta tre canzoni con un piede appoggiato a uno sgabello, poi esce portandoselo via nel silenzio generale o tra cinque applausi, che forse è anche peggio. Jacques rimane dietro il sipario fino alla fine del film. Così ogni due ore, tra una proiezione e l’altra. La sua fortuna è che una sera capita Juliette Gréco, che s’innamora artisticamente di lui. Lo va a conoscere, incide un suo brano, "Le diable". È in quel momento che Jacques smette di essere Jacques e diventa Brel. Brel conquista prima Parigi, poi la Francia, poi il resto del mondo. A 35 anni, l’assurdo. Brel si ritira dalle scene al massimo della popolarità, perché, come dice lui «è normale cantare in bagno, mentre ti radi, non in pubblico». E poco importa che dica così perché ha il terrore del palco e ogni volta trema e maledice e sogna di essere altrove. Poi fa quei due metri che separano il retropalco dal palco e gli sembra non di rinascere, ma di nascere. L’ultimo concerto all’Olympia, nell’ottobre del 1966, entra nella leggenda. Brel è da venti minuti nei camerini, venti minuti dopo l’ennesimo bis, ma il pubblico non vuole saperne di andare via. Continua a battere le mani, a gridare, a piangere, a chiamare il nome di Brel. Jacques esce, in accappatoio e ciabatte. Parigi si inchina al suo re belga. Brel dice una sola frase: «Questo giustifica quindici anni d’amore». Grazie ai suoi brevetti aeronautici e marini, prende a vagabondare per cielo e per mare. Quando non sorvola l’Europa con il suo piccolo aereo, naviga con l’Askoy II, un veliero di 18 metri. Un giorno sbarca ad Atuona, un villaggio di Hiva Oa, isola dell’arcipelago delle Marchesi. S’innamora. Lascia Parigi e va a vivere in quel grumo di isole vulcaniche baciate dall’Oceano Pacifico, a 1500 chilometri da Tahiti, già rifugio di Jack London ed Herman Melville, il quale, secondo leggenda, nel 1842 sbarcò come marinaio di una baleniera e solo per miracolo riuscì a schivare una tribù di mangiatori di uomini. Brel torna a Parigi solo quando gli dicono di essere condannato da un tumore. Torna con un nuovo album ed è ennesima meraviglia. "Brel" entra nel cuore della Francia con precisione chirurgica. Lo acquistano in milioni, la gente fa la coda per portarsi a casa una copia, e con essa un altro pezzo del suo cantore preferito. Poi il ritorno verso la sua isola, dove oggi è seppellito, accanto a Paul Gaguin, nel cimitero del calvario. Seppellito, ma sempre vivo. E sempre amato. Dalla sua gente, dalle sue innumerevoli donne. Sulla sua tomba ci sono sempre fiori freschi e ogni volta che arriva una delle sue compagne, butta via i fiori della compagna precedente. E c’è ancora il suo piccolo aereo, che viene spesso utilizzato come mezzo di pronto soccorso per gli abitanti dell’isola. Ma niente cura più di una sua canzone, quando sembra che manchi l’aria e hai bisogno di qualcosa di forte. Le sue canzoni hanno catturato l’immaginario del rock, travalicando i confini della canzone francese. Tra gli artisti che l’hanno riletto ci sono David Bowie ("Amsterdam"), Nina Simone, Marc Almond, The Paper Chase, Emiliana Torrini, Marlene Dietrich, Ute Lemper, Céline Dion, Scott Walker. Tra gli italiani, spettacolari le interpretazioni di Franco Battiato, Patty Pravo, Giorgio Gaber e Maurizio Arcieri, che ha trasformato "Le moribond" in "Stagioni fuori tempo". Questa, pubblicata per gentile concessione dell'autore e dell'editore, e le schede di altre 333 canzoni terapeutiche sono proposte in "Rock Therapy" di Massimo Cotto, edito da Marsilio.