Jimmy Buffett, Babyface, Gavin Rossdale dei Bush, Sheryl Crow, il duo country Brooks & Dunn, Bonnie Raitt, gli Eagles, le Dixie Chicks, Stevie Nicks, Patty Loveless… Persino Bill Kreutzmann e Mickey Hart, i “diavoli del ritmo” della congrega (Grateful) Dead, campioni della libertà di espressione e della “free music” dai tempi di Haight Ashbury e della estate dell’amore di San Francisco: tutti contro Grokster, la società che negli Stati Uniti siede sul banco degli imputati in un processo chiave per il futuro del copyright e del peer2peer deregolamentato (vedi News). <br> I musicisti citati appartengono tutti alla combattiva Recording Artists’ Coalition, assurta alle cronache qualche anno fa per una pubblicizzata battaglia sulla libertà artistica dai vincoli contrattuali imposti dalle case discografiche (vedi News). Questa volta però si sono mobilitati a fianco dell’industria, e il bersaglio è diventato una di quelle intraprendenti imprese che, sostiene la direttrice nazionale dell’associazione Rebecca Greenberg, “guadagnano spesso milioni di dollari senza dare agli artisti un solo centesimo”. “L’esito del processo in corso davanti alla Corte Suprema”, ha aggiunto la Greenberg, “condizionerà il futuro benessere di interpreti e autori di canzoni”. Nessuna previsione, per il momento, sui tempi dell’attesissima sentenza.