Ogni mattina Rockol realizza, per comodità dei propri lettori, un servizio di rassegna stampa dai maggiori quotidiani nazionali. A volte capita di trovare qualche notizia utile o interessante o parzialmente inedita. Più spesso capita di annegare nell’inutilità, nel rifritto, nel già sentito. A volte, come stamattina, capita che mi girano le palle – magari perché mi sono svegliato male – e mi viene voglia di scrivere qualcosa a proposito dei quotidiani del mattino. Che oggi dedicano spazio a due personaggi abbastanza diversi, ma accomunati da un’indubbia capacità: quella di far scrivere di sé.<br> Adriano Celentano: massimo rispetto per il cantante, l’ho già espresso in numerose occasioni, e apprezzamento (a volte) per il regista (“Yuppi Du”) e l’attore (“Serafino”). Ma che da settimane ci debba frantumare le palle con questa faccenda del programma RAI, beh, questo mi pare francamente insopportabile. Rockol è un giornale che scrive di musica e di cantanti, ed è solo per questo motivo che ci tocca riferire delle mosse e contromosse di Celentano nei confronti della dirigenza televisiva; ne faremmo volentieri a meno. Adesso pare che voglia far causa alla RAI perché non ha trasmesso i promo del suo programma, un programma che fin dal titolo (“Rockpolitik”, ma dai!) minaccia (minacciava, se come pare, e come mi auguro, non si farà più) di diventare una micidiale miscela di prediche, prese di posizione, polemiche e deliri di onnipotenza. Come si fa a non pensare che questa sia una delle tante operazioni strumentali per tornare sui giornali, visto che, vedi combinazione, il suo ultimo (e non imperdibile) album ha perso quattro posti in classifica? E comunque (lo dico anche se esula dal mio ambito di competenza): Celentano non è mica obbligato a fare un programma in RAI, essendone peraltro strapagato. Se non gli piace l’ambiente, se non vuole stare alle regole o alle imposizioni o ai diktat dell’Azienda (che, spendendo soldi suoi, peraltro anche nostri, ha tutto il diritto di pretendere di decidere), se ne stia a casa, rinunci a fare il programma, ma per carità di Dio e per rispetto dei nostri zebedei, la smetta di lagnarsi perché non gli lasciano fare questo o quest’altro. Stia tranquillo, la popolazione italiana se ne farà una ragione, se “Rockpolitik” non si farà.<br> E la popolazione italiana si farà una ragione anche dell’eventuale assenza di Manu Chao dalle nostre scene. Il musicista ha dichiarato al magazine di “Le Monde” che la situazione italiana è tragica, e che lui, poverino, deve stare molto attento quando viene da noi a fare concerti, perché rischia di essere vittima di operazioni deviate di polizia (droga nascosta nei camion, poliziotti camuffati da giornalisti…). Parla, Manu Chao, di “città in stato d’assedio”. E non è la prima volta che conquista spazio sui giornali lamentandosi di quel che succede da noi. Ora, a me non sembra – posso sbagliarmi, si capisce – che gli italiani stiano soffrendo di astinenza da Manu Chao: non ricordo quanti anni sono passati da quando un suo disco è entrato in classifica, e scommetto che la maggior parte di chi legge non ricorda il titolo del suo ultimo album. Oltretutto, l’unica volta che Manu Chao ha avuto una botta di popolarità da noi è stata quando ha pubblicato una filastrocca-tormentone che di politico, di sociale, di impegnato non aveva proprio nulla (“Me gustas tu”). Non viene in Italia a suonare perché teme la polizia? Mi piacerebbe sapere quale promoter l’ha invitato, di recente, a tenere concerti da noi…<br> Suvvia, siamo seri. Smettiamola di far perdere tempo alla gente che lavora. E smettiamola di dare spazio sui giornali a quelli che se lo cercano sparando cazzate finalizzate appunto ad ottenere questo spazio. Ci sono cose più divententi e più interessanti da fare e da raccontare. <br> (franco zanetti)