Ho conosciuto Red Ronnie su un pullman. E’ successo... boh, non so più di preciso, sarà stato circa il 1978, direi. Eravamo entrambi diretti a Lione, per un concerto di David Bowie. Ci andavamo non da giornalisti, da fan: allora io lavoravo in una casa discografica, lui in una banca di Pieve di Cento - il Credito Romagnolo, mi pare di ricordare. In quegli anni i musicisti rock non venivano più a fare concerti in Italia, dopo i mille casini accaduti con gli autonomi, i rivendicatori del “la musica è nostra e non si paga”, i lanciatori di molotov e sampietrini. Così ci si affidava a una (per molti versi) benemerita agenzia di Torino, la Medianova, che organizzava viaggi in pullman qua e là per l’Europa in occasione di concerti di richiamo. Si pagava una somma nemmeno tanto economica per il biglietto più il viaggio in pullman-tradotta, con partenza all’alba, arrivo a destinazione (spesso Zurigo, il famigerato Hallenstadion, ma a volte anche altre città relativamente vicine ai confini italiani) dopo otto/dieci ore di autostrada, concerto e immediata ripartenza con ritorno notturno e arrivo a Milano nella mattina del giorno successivo.<br> Quella volta, fra i partecipanti al viaggio c’era un ragazzino molto giovane e molto gay (allora si diceva ancora, in maniera assai politicamente scorretta ma senza alcuna volontà di offendere, “molto checca”), che per ragioni che ancora oggi non so iniziò una discussione con un tipo alto dai capelli rossi, il quale si rivelò decisamente aggressivo e decisamente sfottente nei confronti del poveretto. Chissà perché, che poi mettermi in mezzo non è neanche nel mio modo di fare (forse semplicemente parlavano a voce alta e m’impedivano di sonnecchiare): ma quella volta mi arrabbiai molto, e intervenni per far cessare la litigata, invitando il tizio dai capelli rossi a smetterla di dare addosso al poveretto.<br> Nel viaggio di ritorno, post-concerto, il tizio dai capelli rossi e io ci trovammo seduti vicini e cominciammo a chiacchierare. Venne fuori che sia lui sia io eravamo impallinatissimi di punk, e cominciammo a fare la gara a chi aveva più 45 giri originali. Celo celo manca. Venne fuori anche che il tizio, Gabriele Ansaloni, faceva una trasmissione in una radio (come me), e che pubblicava (o stava per pubblicare, adesso non ricordo bene) una fanzine intitolata “Red Ronnie’s Bazaar”. Red per via dei capelli rossi, Ronnie per via di Ronnie Peterson, il pilota di Formula Uno che era uno dei suoi eroi. Insomma, Gabriele e io facemmo comunella, e da allora mi diedi d’attorno per aiutarlo a trovare contatti con le case discografiche di Milano per poter intervistare i cantanti. Infatti Red Ronnie fu invitato (da me) ai concerti e alle conferenze stampa di Iggy Pop, a quelli di Patti Smith, e un po’ alla volta anche altre case discografiche cominciarono a dargli retta. Intanto succedeva il Bologna Rock, c’erano gli Skiantos, i Gaz Nevada, e insomma Bologna era un po’ il centro del nuovo rock italiano. Ci andavo spesso, a Bologna, e a volte mi fermavo a dormire da Red: si faceva tardissimo ascoltando i dischi più strani, per la disperazione della paziente Morena.<br> Lui era assolutamente pazzo per la musica, ed era anche davvero competente, ascoltava e leggeva e scriveva. Si dava un gran daffare, arrivò a collaborare con “Rockstar” (e poi con “Tuttifrutti”, dove tirò dentro anche me), e col Resto del Carlino (s’inventò un inserto di musica e fumetti, “Strisce & Musica”, dove pure mi chiamò a scrivere). Io intanto avevo cambiato casa discografica, e in quella nuova avevo cominciato a occuparmi un po’ anche di nuovi progetti. Uno dei quali, nel 1981, aveva avuto un inaspettato e clamoroso successo: un disco di Ivan Cattaneo che, su mio suggerimento, aveva inciso una serie di cover di canzoni degli anni Sessanta. L’album di intitolava “Italian Graffiati”, come le serate che tenevo da un paio d’anni ogni venerdì in una discoteca vicino a Brescia, il Protos di Ciliverghe.<br><br> (Sì, lo so che non ve ne frega molto, e che vi state domandando dove sto andando a parare. Ma sto approfittando dell’occasione e di un sabato sera a casa per raccontarvi un po’ di storia della mia vita. Se non volete continuare, vi capisco, avete ragione. Passate a un’altra pagina di Rockol, non vi serberò rancore).<br><br> Dopo il servizio militare sono tornato alla mia scrivania, e un giorno di maggio viene da me Bibi Ballandi, impresario bolognese, e mi racconta che ha rilevato una discoteca nel parco della Galvanina, poco sopra Rimini, e che non ha idea di come caratterizzarla. Due mesi fa Bibi l’ha raccontata, a “Prima Comunicazione”, in maniera abbstanza diversa, e lo capisco; comunque io vi dico la mia versione dei fatti, poi credete a chi volete. Insomma, Bibi non sapeva che fare, alla Galvanina, e io gli ho proposto di trasformarla in un locale tutto dedicato agli anni Sessanta. Lui, a onor del vero, mi offrì di andare a lavorarci; io rifiutai (non so ancora se ho fatto bene o male) ma accettai di fare da ufficio stampa del locale, che battezzammo seduta stante “Bandiera Gialla”, come la celebre trasmissione radiofonica di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni.<br> La sera di sabato 10 giugno 1983, all’apertura del “Bandiera Gialla”, non c’era nessuno. Eppure i giornali avevano dato ampiamente la notizia dell’inaugurazione. Ed ero stato io a insistere con Bibi: apriamo presto, questa non è una discoteca per ragazzini nottambuli, è un posto per famiglie e persone oltre i trent’anni. Alle nove di sera, quando Enzo Persuader cominciò a mettere i dischi, non c’era un cane. Ma un quarto d’ora dopo lungo la strada che saliva verso la Galvanina cominciarono a formarsi lunghe code di automobili: era tutta gente che veniva al Bandiera Gialla. E la gente continuò a venire al Bandiera Gialla sera dopo sera, sempre più numerosa, sempre più divertita. I giornali scrivevano e scrivevano del fenomeno Bandiera Gialla (uno dei miei lavori da ufficio stampa più facili e meno faticosi....), e prestissimo una televisione annusò l’affare e propose a Bibi di realizzare uno spettacolo televisivo settimanale proprio lì, nel locale.<br> Bibi, che pensava in grande ma voleva spendere in piccolo (grande impresario!), contropropose di produrre in proprio il programma e poi venderlo alla TV. Ma a quel punto non sapeva a chi farlo realizzare. Fui io a dirgli: c’è questo tizio di Bologna, che è abbbastanza vicina a Rimini: si chiama Red Ronnie, cioè si chiama Gabriele Ansaloni, non so se gli interessi la musica degli anni Sessanta, però è curioso e vivace, ha fatto tanta radio, è un personaggino, e forse potrebbe chiedere un’aspettativa in banca e venire qui a fare il programma.<br> Ecco, la carriera televisiva di Red Ronnie è cominciata così. Poi lui ne ha fatte tante altre, di cose: alcune belle e alcune brutte, alcune utopisticamente coraggiose e alcune biecamente commerciali. E’ diventato famoso, è andato sui giornali, ha frequentato molto l’ambiente, nel bene e nel male, e le nostre strade si sono un po’ divise. Nel senso che ci siamo incrociati casualmente, per ragioni di lavoro, ma non ci siamo più cercati. Non so chi sia stato, di noi due, a non cercare più l’altro: forse lui, che aveva molti impegni, o forse io, che nel Red Ronnie di Mediaset faticavo a riconoscere il Red Ronnie del “Red Ronnie’s Bazaar” che sulla copertina di un numero della sua fanzine che ancora conservo strillava orgogliosamente “Questa testata non è in vendita!”.<br> Però un occhio a Red gliel’ho sempre dato. E adesso che lui, dopo parecchie vicissitudini, ne ha fatta un’altra delle sue, di mattane (ha fondato una rivista mensile su DVD che si intitola “Roxy Bar”, e che esce oggi in edicola e nei negozi di home video), mi è parso giusto dedicare prima tre ore del mio weekend a visionare il DVD (sì, dura così tanto) e adesso un altro paio d’ore a parlarvene.<br> Avete ragione di ridere, dopo aver letto fin qui questo mio sproloquio autoreferenziale e pieno di “io” e di verbi in prima persona, se vi dico che “Roxy Bar - DVD” ha una caratteristica che potrebbe rendervelo insopportabile: l’invasività di Red Ronnie. Ora, capisco che una videorivista che in sostanza consiste di spezzoni di interviste sia quasi inevitabilmente condizionata dalla presenza dell’intervistatore: però qui dentro, in queste quasi tre ore, di Red Ronnie ce n’è troppo. Lui declama l’editoriale, lui intervista Vasco Rossi ascoltando insieme la prima metà dell’album “Buoni o cattivi”, lui intervista Mick Jagger, Gianni Rivera, Lou Reed, David Bowie, Edoardo Bennato, Marilyn Manson, lui presenta i due gruppi emergenti che suonano... Red Ronnie in età diverse, con abiti diversi, con pettinature diverse, con un inglese a volte esitante a volte molto fluido, lui di fronte, di profilo, di spalle... E lui da solo, che (secondo me - ma è un parere personale - con una vena un po’ troppo predicatoria) ci spiega le cose del mondo e della musica.<br> Attenzione: le domande che Red Ronnie rivolge ai personaggi che intervista non sono stupide, e le risposte spesso sono illuminanti (più quelle di Bowie e Reed che quelle di Bennato e Rivera, d’accordo). E lo so che il “format” delle trasmissioni televisive degli anni scorsi per le quali Red Ronnie realizzava queste interviste prevedeva la presenza nell’inquadratura delll’intervistatore; ma dopo un po’ di visionamento del DVD si comincia a soffrire di indigestione. Però di cose saporite ce ne sono, e quelle valgono il tempo della visione.<br> Non lo so, se questa iniziativa editoriale anomala avrà successo; certo è originale e coraggiosa, e già per questo merita i migliori auguri. Se nei prossimi numeri la presenza incombente del direttore/conduttore/intervistatore sarà un po’ moderata, a mio avviso la qualità finale del giornale avrà da guadagnarci. Perché badate: ci sono sedici minuti, di questo primo numero di “Roxy Bar - DVD”, di grande qualità, di grande impatto, di grande commozione: e sono quelli in cui Andrea Pazienza, il geniale disegnatore di fumetti morto troppo presto troppi anni fa, racconta (a Red Ronnie, che però qui è solo una voce fuori campo che propone argomenti, stimola e suscita, ma non invade e non si fa protagonista) una sua vicenda privata, quella di una sua ex ragazza che si è messa con un suo amico. Ecco: a parte l’emozione nel rivedere un Pazienza così giovane e così bello e così indifeso, quei sedici minuti di - come vogliamo chiamarli: televisione? giornalismo? cronaca? diario? vita vissuta? - sono un pezzo memorabile. Quelli di cui Red Ronnie è capace, quando ogni tanto si dimentica la smania di stare in primo piano e torna ad essere Gabriele Ansaloni, quel tizio di Pieve di Cento che era pazzo per la musica e a lavorare in banca s’annoiava troppo.<br> Ciao Red, divertiti.<br> (franco zanetti)