Anche il mondo della discografia ha deciso di stare in qualche modo al fianco dei manifestanti che stanno protestando nelle principali città degli Stati Uniti per chiedere giustizia per George Floyd e contro il razzismo. Sony Music Group ha deciso di lanciare un fondo da 100 milioni di dollari (circa 88,5 milioni di euro) "per sostenere la giustizia sociale e le iniziative antirazziste in tutto il mondo", facendo sapere che inizierà a donare partendo da "organizzazioni che promuovono la parità di diritti". "L'ingiustizia razziale è un problema globale che colpisce i nostri artisti, i cantautori, chi lavora per noi e la società più in generale", ha detto Rob Stringer, presidente di Sony Music Group, "siamo contrari ad ogni tipo di discriminazione e agiremo di conseguenza con la nostra comunità, pienamente coinvolta nell'uso di questi fondi". Republic Records, etichetta discografica di proprietà di Universal Music Group, ha deciso invece di bannare il termine "urban" come sinonimo di hip hop, r&b e altri generi riconducibili in un modo o nell'altro alla black music. Stando a quanto ricostruito da Billboard USA, la nascita del termine "urban" va fatta risalire al dj di origini africane Frank Crocker (negli Anni '70 diede un'importante contributo alla crescita di WBLS, la stazione radiofonica black di New York). Negli ultimi anni, il termine "urban" è stato spesso inappropriatamente utilizzato come sinonimo di "r&b" o "hip hop", talvolta per indicare le produzioni musicali di artisti neri. Il rapper Tyler, the Creator ai Grammy di quest'anno aveva denunciato: "Non mi piace la parola 'urban'. È solo un modo politically correct per dire la parola 'negro', per me. Ogni volta che la sento, penso: 'Non possiamo essere semplicemente pop?'".