Walter Yetnikoff, ex padre padrone della CBS, ha incarnato come pochi altri lo spirito della grande discografia americana anni ’80: personalità esuberante e sopra le righe, stile di direzione aggressivo e spesso oltre i limiti dell’arroganza, gran fiuto e altrettanta spregiudicatezza. Uno degli ultimi esempi, insomma, di discografico “rock star” come lo sono stati, in modo diverso, suoi ancor più celebri contemporanei come Clive Davis e David Geffen. Oggi è fuori dal grande giro e in società con Tracy McKnight gestisce la Commotion Records, una piccola etichetta dedita alla pubblicazione di colonne sonore di film indipendenti (come l’apprezzato “Hotel Rwanda” o “Mysterious skin” di Gregg Araki): ma non ha perso la lingua né il gusto per l’iperbole, come dimostra la sua pittoresca e recente autobiografia “Howling at the moon” (“Abbaiando alla luna”). <br> In occasione di un incontro pubblico sui rapporti tra musica e cinema organizzato dalla Commotion presso la libreria Barnes & Noble a Los Angeles, imbeccato dalle domande dei presenti non ha voluto perdere l’occasione di dire la sua sullo stato attuale del business musicale. “Quando ti poni come unico obiettivo quello di fare soldi”, ha esordito l’imprenditore di origine ebrea secondo quanto riporta la Reuters, “finisci spesso per non raggiungerlo. L’industria musicale di oggi mi annoia perché è governata dai grandi gruppi industriali, e il pop attuale è ancora più noioso perché è la copia di una copia di una copia. Chi mi piace? I White Stripes, perché sono originali”. <br> Nell’occasione Yetnikoff ha ricordato il suo periodo di gloria in CBS al fianco di grandi artisti come Bob Dylan (“Non credo che oggi otterrebbe un contratto, con la voce buffa che si ritrova”) e Bruce Springsteen, citando a proposito di quest’ultimo l’azzardo di lasciargli pubblicare, nel 1982, un disco spoglio e acustico come “Nebraska”: “Con lui la pazienza ha pagato. Ma non sono sicuro che, nel clima attuale, un dirigente discografico sarebbe altrettanto paziente”.