L'1 gennaio Spotify ha effettuato un massiccio takedown di brani di artisti sospettati di avere usato sistemi che gonfiano gli stream in modo fraudolento. L'operazione ha riguardato, da quanto si apprende su diversi media statunitensi, la fascia degli artisti indie americani. Quella applicata è una pratica ricorrente che, peraltro, è - oltre che sensata - diretta conseguenza delle norme del servizio della piattaforma, che nelle proprie FAQ indica che "qualsiasi servizio che dichiari di garantire un piazzamento all'interno di playlist di Spotify in cambio di denaro viola i nostri termini e condizioni, e non dovrebbe essere utilizzato". L'episodio ha ricevuto negli Stati Uniti parecchia attenzione da parte dei media e della comunità degli artisti indipendenti dopo che Wallace Collins, un legale che opera nell'industria musicale, ha dichiarato nel suo blog che il numero dei brani eliminati dalla piattaforma oscillava addirittura intorno ai 750.000. A margine, lasciava trapelare anche che la maggior parte dei takedown avesse riguardato brani distribuiti da Distrokid. Nè i numeri indicati, nè questa seconda ipotesi sono state chiarite e determinate come veritiere, anche in assenza di commenti da parte di Spotify fino ad ora. Mentre altre fonti parlano di "alcune decine di migliaia di takedown", la protesta monta e la comunità indie ameriana si è mobilitata. Per iniziativa di Dylan Toole, è partita due giorni fa una petizione online per ripristinare la presenza dei brani e degli artisti che sarebbero stati ingiustamente cancellati da Spotify. L'appello recita: "A migliaia di artisti indipendenti in tutto il paese è stata rimossa da Spotify la propria musica l'1 gennaio 2021, compresa la mia. Come artisti underground, lottiamo quotidianamente per costruire le nostre fanbase e diffondere la nostra musica. Aiutatemi firmando questa petizione a vincere la lotta contro l'industria e ripristinare la mia musica!". Allo stato attuale, oltre 5.000 firme sono state raccolte.