I profondi cambiamenti che hanno interessato la discografia negli ultimi anni - streaming in primis - sono alla base di quella che gli addetti ai lavori chiamano song economy, ovvero un vero e proprio sistema economico basato sulle canzoni: mentre ai tempi d’oro del formato fisico erano gli album il formato di consuma di musica dominante sul mercato, oggi a trainare la fruizione sulle piattaforme digitali - che lo scorso anno, in Italia, da sole si sono intitolate un market share dell’81% - sono i singoli brani. Eppure, nonostante tutto, lo status quo dell’industria musicale pone gli autori di canzoni come ultimi nella fila dei beneficiari dei proventi dal consumo delle proprie opere.

In un <a href="https://www.rockol.it/news-721600/bjorn-ulvaeus-abba-contro-spotify-e-streaming-piu-soldi-agli-autori">lungo e circostanziato editoriale pubblicato dal Guardian</a> Björn Ulvaeus, insieme a Benny Andersson motore creativo degli ABBA e oggi presidente di Cisac, organo no profit internazionale impegnato nella difesa dei diritti degli autori, ha spiegato le ragioni di questa distorsione, proponendo possibili soluzioni per rendere l’ecosistema musicale più equo e sostenibile.

“Gli autori non hanno nessun altra fonte di reddito tra quelle a disposizione degli artisti”, ha spiegato Ulvaeus: “Non possono diversificare: gli autori non vanno in tour, né vendono merchandise. In sostanza, tutto il loro reddito proviene dalle canzoni”.

“Lo streaming ha rivoluzionato il mercato, eppure gli autori sono gli ultimi nella fila dei beneficiare dei diritti dello streaming”, prosegue: “Il sistema funziona in modo tale che per un milione di stream registrati su account premium, un artista affiliato a un'etichetta indipendente potrebbe guadagnare più di 3.000 dollari, mentre l’autore potrebbe aspettarsi di guadagnare tra i 1.200 e i 1.400 dollari, sempre che figuri come unico autore della traccia. In caso di brano co-firmato, questa somma viene divisa tra l’autore e gli altri titolari di crediti. In media, gli autori guadagnano quindi tra un terzo e la metà di quello che guadagnano gli interpreti. Vivendo in nella ‘song economy’, è ingiusto: la distribuzione dei diritti d'autore deve cambiare e adeguarsi”.

“La questione non è arricchirsi”, tiene a precisare Ulvaeus: “Parlo di giovani autori con delle potenzialità in questo settore che possano ricevere una giusta remunerazione per il loro lavoro. Prima di formare gli Abba io e Benny Andersson abbiamo passato uno sorta di periodo di apprendistato, durato quasi 10 anni, dove abbiamo scritto, separati e insieme, migliorando le nostre capacità. Non sarebbe possibile disporre di tutto questo tempo - o della libertà creativa di cui si ha bisogno per migliorare - senza royalties. Se non guadagni abbastanza per mantenerti, devi accettare un altro lavoro, il che significa che non puoi concentrarti sulla cosa che vuoi fare”.

Ulvaeus ha proposto diverse soluzioni per migliorare le condizioni degli autori, come - per esempio - l’affiancamento a giovani artisti emergenti, per ricalcare - seppure in vitro - il percorso di illustri sodalizi come quelle instauratisi negli anni tra Robbie Williams e Guy Chambers o tra Elton John e Bernie Taupin, o, ancora, l’adozione su larga scala del <a href="https://www.rockol.it/tutto-su/ucps-467605">modello “fan-centric”</a>, che permetta al pubblico di retribuire in percentuale maggiore gli autori dei propri brani preferiti mediante un differente sistema di allocamento delle royalties da parte dei DSP.

“Non intendo, per un momento, suggerire di tornare indietro nel tempo, come ci si potrebbe aspettare da un'anziana pop star”, ha concluso l’artista: “Quello che è successo nell'ultimo decennio ha il potenziale per essere incredibilmente positivo per gli autori. Un movimento è iniziato su entrambe le sponde dell'Atlantico, prendendo slancio durante la pandemia: il 2021 promette di diventare l'’anno della canzone’”.

Björn Ulvaeus

Cisac

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diritto d'autore

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Björn Ulvaeus (ABBA): ‘Riformare il sistema musicale per valorizzare gli autori’

Industria

La star svedese, ora anche presidente di Cisac, in un editoriale sul Guardian spiega come e perché - paradossalmente - chi scrive le canzoni, oggi, sia l’ultima ruota del carro di un sistema basato sulle canzoni stesse

Sarà Island Records a pubblicare i prossimi lavori - a cominciare dal nuovo singolo “Brutta storia”, in uscita il prossimo venerdì 3 ottobre - di Emma Marrone: a confermarlo è stato lo stesso Label Director dell’etichetta, Federico Cirillo, con un post sulla propria pagina Instagram personale.

L’artista pugliese resterà quindi nella galassia Universal Music Italia, gruppo che cura i suoi interessi discografici fin dall’album d’esordio “A me piace così” del 2010 e che aveva spedito sui mercati la sua ultima prova sulla lunga distanza - “Souvenir” - attraverso uno dei propri brand frontline, Capitol Records, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-747300/universal-music-italia-cambiamenti-frontline-dopo-chiusura-capitol">chiuso lo scorso anno</a> dopo una riorganizzazione della struttura aziendale attuata dall'azienda a partire dal 2024&nbsp;sia a livello globale che locale.

Emma Marrone

Emma Marrone passa a Island Records

Lo spostamento - ‘interno’ a Universal Music - della cantante da Capitol Records

Ci sono alcune date da tenere a mente per comprendere la strategia di Apple in campo musicale: il 9 settembre ha annunciato le nuove AirPods Pro 3 nell’evento dedicato agli iPhone; il 15 settembre è stato reso disponbile&nbsp;iOS 26, rinnovando&nbsp;Apple Music, la piattaforma streaming della casa; il 19 le AirPods Pro 3 sono arrivate nei negozi. 
Altre due date, per dare contesto: il 10 settembre Spotify ha finalmente reso disponibile la versione ad alta fedeltà della musica, 4 anni e mezzo dopo il primo annuncio – il più importante di una serie di novità della piattaforma, compresa una modifica espansiva del piano freemium. Lunedì è stato annunciato Bad Bunny come performer dell’Halftime Show del Super Bowl, di cui Apple Music è main partner. 
Quali sono le novità che ha presentato Apple in servizi e hardware, e che significato hanno per l’industria musicale e per gli ascoltatori? Eccole raccontate e messe alla prova.

<h2>Apple Music in iOS 26</h2>

Con iOS 26 Apple ha introdotto una serie di novità sostanziali nella sua piattaforma musicale. Alcune sono miglioramenti sensati, altre giocano al gatto e topo con le offerte della concorrenza, altre ancora vanno nella direzione di un’integrazione sempre più stretta tra ascolto musicale e vita quotidiana.

La più interessante è AutoMix, funzione che consente una riproduzione continua tra i brani, regolando in automatico beat e transizioni: annunciata già qualche mese fa nella versione beta, è stata anticipata un mese fa da un sistema analogo in Spotify. Non è una novità: un’idea già esplorata da altri servizi nella musica elettronica, ma ben implementata nel contesto dell’app. Funziona bene, ma non benissimo: provate a sentire uno dei tanti DJ mix originali che Apple Music propone come contenuto esclusivo, e sentirete la differenza – molto meglio di un crossfade, ma non al livello di una transizione generata da un DJ, inevitabilmente.

Due funzioni che Apple ha finalmente reso disponibili sono la possibilità di “mettere in evidenza” contenuti nella libreria – album, playlist, artisti – per averli sempre in alto, una funzione molto simile ai “preferiti” di Spotify, così come le copertine a tutto schermo. Sul fronte interazione, Apple Music Sing migliora la modalità karaoke: si può usare l’iPhone come microfono usando la Apple TV per il karaoke. 
La nuova funzione Lyrics Translation &amp; Pronunciation permette la traduzione in tempo reale dei testi e ne restituisce la pronuncia: serve per capire meglio i testi in lingue straniere, e per cantarli.E, infine, grazie a un accordo con l'app SongShift, è ora possibile importare librerie e playlist da altri servizi: una funzione che riduce le barriere al passaggio verso Apple Music, sfidando apertamente la concorrenza. 
Il tutto arriva pochi giorni dopo l'introduzione&nbsp;Spotify ha introdotto la qualità lossless, dopo una lunga storia che ha spesso assunto i toni del melodramma dopo il primo annuncio nel 2021. Apple, che offre già da tempo audio in alta qualità senza costi aggiuntivi, risponde ribadendo la propria posizione: i suoi Digital Masters sono realizzati su specifica richiesta per la piattaforma e sono di qualità superiore.

<h2>AirPods Pro 3: un campionato a parte&nbsp;</h2>

Dove Apple gioca in un campionato tutto suo è il segmento degli auricolari.&nbsp;Con le AirPods Max è entrata in un campo affollato, quello delle cuffie over-ear, mentre con le AirPods Pro ha fatto scelte pionieristiche, che puntano sull’integrazione con l’ecosistema Apple. Il modello 3 arriva a tre&nbsp;anni dalla precedente generazione e rappresenta un’evoluzione del ruolo che Apple assegna a questo dispositivo: da strumento per l’ascolto di alta qualità a interfaccia per il benessere, la comunicazione e il controllo.

<h3>Audio ed ANC migliorati</h3>

La parte audio è stata migliorata in maniera decisa. Un nuovo chip, nuova architettura interna ed esterna, gommini in memory foam in cinque misure che permettono una vestibilità più comoda e un suono che arriva meglio nell’orecchio. Nella nostra prova a fare la differenza sono soprattutto i gommini, che le rendono più stabili senza dover ricorrere a modelli alternativi. 
Il miglioramento sonoro è percettibile: suono più pieno, soprattutto se si ascolta musica elettronica o con beat. È quello che gli appassionati chiamano “suono a V”, ovvero con enfasi su bassi e alti, e minore sui medi (la voce). Funziona molto bene con Apple Music, inevitabilmente, e con il suo audio spaziale – ma se la cava bene con ogni fonte sonora del mondo iOS/Mac. In termini puramente sonori, le AirPods Pro 3 ribadiscono la posizione di migliori auricolari wireless in circolazione – soprattutto per chi ha hardware Apple. 
Ma non solo: c’è un significativo miglioramento nella riduzione del rumore, ora più potente rispetto alla generazione precedente. Apple dice che è migliorata del doppio: una misura difficilmente quantificabile in termini numerici, ma percepibile praticamente. Si sente meno rumore eccome, soprattutto in ambienti affollati o durante i viaggi. L’effetto è dovuto a una combinazione di fattori passivi (il miglior isolamento e la miglior aderenza derivata dai gommini) e attivi: più microfoni che filtrano i rumori. Quest’ultimo dettaglio si riverbera anche nella modalità trasparenza, che restituisce bene voci e suoni esterni, senza distorsioni. 
Cresce anche l’autonomia: 8 ore con ANC attivo, 10 in trasparenza, e una ricarica rapida di 5 minuti offre circa un’ora di ascolto – anche qua la percezione di batteria più lunga c’è eccome, se le usate tanto. Il nuovo case con chip Ultra Wideband migliora la localizzazione con “Dov’è”: il design è praticamente lo stesso, tranne piccole differenze: è leggermente più grande (ve ne accorgete solo mettendoli a paragone diretto), manca il tasto per il pairing (automatizzato) e il led per la ricarica è invisibile.

<h3>Musica e salute</h3>

Personalmente, da qualche tempo, uso le AirPods Pro &nbsp;come filtro per evitare acufeni ai concerti. Il tema della salute dell’udito torna centrale in questa nuova versione, così come nella versione 2: si può effettuare un test dell’udito direttamente con iPhone e AirPods in pochi minuti: funziona bene (e nel mio caso ha avuto un effetto rassicurante: ascolto musica molte ore al giorno ma non ho perdite di udito, mi si dice. E sì che dall'ultimo Sanremo sono tornato con una brutta otite che mi ha fatto preooccupare...).&nbsp;&nbsp;Ma per chi dovesse avere problemi, le AirPods si offrono come strumento per migliorare l’ascolto amplificando suoni e conversazioni, o semplicemente per proteggere dai rumori molesti.

Alcune delle novità più interessanti stanno in questo campo, quello al confine tra musica, suono e salute. Le AirPods Pro 3 introducono un sensore per il rilevamento del battito cardiaco, che permette di tracciare i dati e fare allenamenti registrati anche senza Apple Watch. Manca, purtroppo, la funzione di traduzione simultanea: in Europa non è disponibile per le regole di privacy imposte dall’UE. 
Verdetto: perfette per chi ha hardware e servizi nell’ecosistema Apple, un buon upgrade dalla versione 2. Se vengono usate fuori da questo mondo, funzionano ma perdono metà delle funzionalità.

<h2>Tra concorrenza in streaming e dominio nell'hardware</h2>

La strategia di Apple in campo musicale è interessante. Da un lato, nei servizi la competizione con Spotify in termini di offerta e novità; dall’altro lato, il focus sull’hardware. In campo streaming Apple si presenta come focalizzata sulla musica – laddove Spotify cerca di recuperare terreno e reputazione arrivando tardi in campi ormai presidiati come l’alta fedeltà streaming. 
In campo hardware le nuove AirPods puntano sì sulla qualità musicale, ma si offrono come strumenti di vita quotidiana, per la salute dell’udito e come supporto al fitness. 
Le novità di Apple Music e le AirPods Pro 3 non stravolgono nulla, ma chiariscono sempre più la direzione: quella di un ecosistema integrato. Una piattaforma dove ascoltare musica, focalizzandosi sulla qualità dell’ascolto. Ma dove l’ascolto stesso è solo una delle cose che si possono fare nella vita quotidiana.

AirPods Pro 3, Apple Music: la strategia per la musica

Le novità in campo musicale di Apple alla prova, tra la concorrenza di Spotify e l'hardware

Sarà presentato la prossima domenica 5 ottobre presso lo Spazio Teatro 89 di via Fratelli Zoia 89, a Milano, “Io tu noi tutti - 20 anni di Magnolia e di Milano”, documentario che celebra i due decenni di attività del live club di via Circonvallazione Idroscalo, a Novegro.

L’opera - recita la nota di presentazione - “si intreccia con la storia di Milano, città protagonista di una trasformazione culturale senza precedenti negli ultimi vent'anni”. “Non solo la cronaca di un club, ma il racconto di un'intera comunità che ha contribuito a ridefinire l'identità musicale della città”, hanno spiegato gli autori del progetto: “Venti anni di Magnolia rappresentano venti anni di evoluzione culturale milanese: un documentario che ripercorre questa storia attraverso le testimonianze di chi ha costruito, vissuto e animato questo spazio – dai fondatori agli artisti, dalle istituzioni al pubblico – documentando come un luogo sia diventato il simbolo delle trasformazioni culturali di un'intera città”.

A contribuire alla realizzazione del lungometraggio con le proprie testimonianze sono stati artisti come Bassi Maestro, MACE, Myss Keta, Selton, Vito War e Bloody Beetroots, oltre che addetti ai lavori come Andrea Pontiroli (manager Santeria, fondatore Circolo Magnolia, Santeria Milano, Godzilla Market e Cassis Records &amp; Publishing), Carlo Pastore (direttore artistico MI AMI Festival, conduttore radiofonico e televisivo, fondatore agenzia creativa Better Days), Daniela Amati (co-fondatrice e amministratore unico Santeria s.r.l.), Nur Al Habash (direttrice Italia Music Lab, responsabile Italia Music Export SIAE), Tommaso Sacchi (assessore alla Cultura Comune di Milano) e i soci fondatori del Circolo Magnolia Francesco Collinelli, Giovanni Segattini, Lorenzo "Rubi" Rubino, Lorenzo Andrea Minunno, Nicholas Tozzo, Sabrina Bottari, Sergio Frigerio, Simone Ravasi e Stefano Dal Vecchio.

Circolo Magnolia, in arrivo un documentario

‘Io tu noi tutti’ celebra i vent’anni di attività del live club milanese

Almeno un paio di autorevoli testate di settore internazionali hanno notato un curioso tempismo tra <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-754434/spotify-cambio-ai-vertici-ek-lascera-il-ruolo-di-ceo">l’annuncio, da parte di Daniel Ek, del suo ritiro dalla carica di CEO di Spotify</a> e <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-752881/la-protesta-dei-deerhof-contro-daniel-ek-spotify-droni-militari">il montare delle proteste, da parte della comunità artistica, nei confronti dello stesso Ek</a>, al quale sono stati contestati interessi economici nell’industria militare. A livello mediatico, la campagna di ritiro dei cataloghi che <a href="https://www.rockol.it/news-754157/massive-attack-vogliono-rimuovere-musica-da-spotify-polemica">ha avuto nei Massive Attack i suoi portavoce più autorevoli</a> è sicuramente un colpo in termini di immagine, ma - effettivamente - può incidere sull’offerta della piattaforma, indebolendola a tal punto da provocare un esodo di abbonati?

A prima vista, no. Spotify non è nuova al ritiro di repertori importanti dal proprio catalogo. Nel 2014 Taylor Swift, in accordo con la sua etichetta di allora, la Big Machine Music, decise di ritirare i propri dischi dalla piattaforma per protestare contro il modello freemium offerto dallo stesso DSP. Album e canzoni sparirono (solo dall’offerta gratuita) per un paio d’anni per ricomparire, regolarmente, a metà 2017. Al netto delle ragioni differenti della protesta - per Swift e Big Machine si trattò sostanzialmente di una questione di soldi, non di principio - il ritiro del repertorio non provocò grossi danni a Spotify, in termini iscrizioni.

Il moto di protesta nei confronti di Ek, al momento, pare essere destinato ad avere ancora meno impatto. Un po’ perché gli artisti più in vista tra quelli schieratisi&nbsp;- come i Massive Attack a livello internazionale e Piero&nbsp;Pelù, a livello italiano - non possiedono i diritti sui master dei propri lavori, e quindi non possono decidere - se non in accordo con i legittimi aventi diritto, e i legittimi aventi diritto, almeno fino a ora, paiono essere di avviso diverso - di oscurare i propri repertori sulla piattaforma. E un po’ perché Spotify, oggi, ha tutto meno che un problema di cataloghi: solo ieri il DSP ha annunciato di aver chiuso <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-754437/spotify-nuovo-accordo-di-licenza-con-merlin">un accordo con Merlin</a>, uno dei principali licensing hub indipendenti su scala&nbsp;globale, dopo aver già siglato intese con le tre major - <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-749605/universal-music-e-spotify-nuovo-accordo-pluriennale">Universal Music</a>, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-754149/sony-music-nuovo-accordo-pluriennale-con-spotify">Sony Music</a> e <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-749865/spotify-dopo-umg-accordo-artist-centric-anche-con-warner-music">Warner Music</a> - negli ultimi nove mesi. Assicurandosi, in sostanza, la quasi totalità dell’offerta disponibile oggi sul mercato della musica registrata.

Anche volendo supporre che il passo indietro di Ek sia da legare alle proteste per i suoi investimenti in tecnologia militare, è verosimile pensare che il suo passaggio da CEO e Presidente Esecutivo sia sufficiente per placare le rimostranze della comunità artistica? Se lo scopo di ritirare un catalogo è quello di infliggere un danno economico a chi lo utilizza traendone profitto, lo spostamento di Ek nell’organico di Spotify (o, eventualmente, anche la sua uscita tout-court dal team aziendale) è assolutamente ininfluente, perché - a oggi - Ek, con 29,1 milioni di azioni, pari al 14,3% del capitale, è il primo azionista del servizio. Oltre a Martin Lorentzon (il co-fondatore di Spotify, che al momento ha nel proprio portfolio 20 milioni di azioni pari al 9,8% delle quote) tra gli altri investitori di Spotify figura anche BlackRock, che al momento detiene una quota del capitale azionario pari a circa l’8,3%, per 11,3 milioni di azioni. Il colosso finanziario guidato da Larry Fink ha quote in diverse società legate all’industria militare statunitense - tra le altre Olin Corporation, Vista Outdoors, e National Presto Industries, e lo scorso giugno ha lanciato un nuovo strumento finanziario (l’UCITS iShares) legato all’aumento delle spese per la difesa da parte dei paesi europei. Se a essere contestati, quindi, sono gli interessi in ambito militare di chi partecipa al capitale - e, di conseguenza,&nbsp;agli utili - di Spotify, la presenza e il ruolo nell’organico dell’azienda sono del tutto irrilevanti.

In un punto con la stampa immediatamente successivo all’annuncio nel cambio di leadership, Ek ha negato che siano state “pressioni esterne” a farlo optare per un avvicendamento ai vertici dell’azienda. "Non è una questione di altro, se non del fatto che Alex&nbsp;(Norström, dal 2023 co-presidente e Chief Business Officer, dal primo gennaio co-CEO, ndr) e Gustav&nbsp;(Söderströmm, attualmente co-presidente e Chief Product and Technology Officer, e dal primo gennaio co-CEO, ndr) stanno già dando risultati eccezionali”, ha detto Ek: “Ritengo che questa sia un'evoluzione naturale di ciò che già facciamo come team di leadership".

Con il progressivo assottigliamento dei tassi di crescita del settore discografico sui mercati avanzati - si vedano, al proposito, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-753965/discografia-usa-crescita-sotto-l-1-nel-primo-semestre-2025">i numeri registrati dagli Stati Uniti nel primo semestre di quest’anno</a> - Spotify, da azienda leader globale, ha sempre più bisogno di elaborare strategie a medio-lungo termine, anche alla luce della sua (relativamente recente) <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-749798/spotify-il-2024-primo-anno-completo-di-profittabilita-i-numeri">conquista della profittabilità</a>. “Tanti investitori possono pensare al ruolo di Presidente in termini ‘americani’, dove la carica ha una valenza più simbolica che operativa", ha spiegato Ek: “In Europa non è così: un Presidente è una figura molto attiva nell’organico aziendale. E io è così che la intendo”. L’intenzione, quindi, non è quella di ritirarsi a vita privata per godersi i dividendi. “Ho ancora il mio ufficio in sede, con Gustav&nbsp;e Alex, e lavoro con loro su vari problemi”, ha detto Ek: "Voglio essere chiaro: sono loro a comandare. Sono loro a prendere le decisioni, ma io sarò lì come amico, consigliere, sostenitore, e farò tutto il necessario per far sì che tutto questo accada".

Perché, ha concluso Ek, “credo ancora fortemente che Spotify sia all’inizio del suo percorso. C'è la prossima generazione di consumatori che ora si sta connettendo online in modo massiccio. C'è una parte enorme del mondo che non è ancora realmente abituata allo streaming, almeno per quanto lo diamo per scontato oggi noi occidentali, con regioni incredibilmente popolose e una popolazione molto giovane, dall'Asia all'Africa. Continuerò a insistere affinché Spotify continui a guardare avanti, resti concentrata sul lungo termine e continui a impegnarsi ogni giorno per apportare continui miglioramenti al proprio servizio, perché è il lungo termine che porta ai risultati migliori”.

Perché Daniel Ek non sarà più il CEO di Spotify

Il cambio al vertice del DSP è davvero legato alle proteste degli artisti nei confronti del suo AD?

Oggi, primo ottobre 2025, Note Legali festeggia il suo diciannovesimo anniversario dalla fondazione. “Un lungo percorso - ha fatto sapere l’associazione in una nota - dedicato con passione e competenza alla formazione, all’informazione e alla tutela dei diritti di chi lavora nella musica”.

Fondata a Bologna il 1 ottobre 2006, Note Legali si è rivolta fin dall’inizio della propria attività a musicisti, operatori e professionisti del settore musicale in Italia, offrendo corsi, seminari e consulenze, e “contribuendo a diffondere una cultura della legalità e della consapevolezza professionale su temi spesso trascurati ma fondamentali: dal diritto d’autore ai contratti, dalla fiscalità alla previdenza, fino alle nuove sfide del digitale”.

“Quest’anno, l’anniversario dell'associazione coincide con l’avvio di un nuovo e importante capitolo: il progetto Sounds Rights, finanziato dall'Unione Europea tramite il programma LIVEMX ideato e realizzato da Note Legali in collaborazione con KeepOn Live”, ha spiegato l’associazione: “Mercoledì scorso, a Palermo, si è tenuto il primo incontro ufficiale di questo percorso, che nei prossimi mesi offrirà formazione pratica a live club, festival e spazi di musica dal vivo, con l’obiettivo è fornire strumenti concreti su diritti musicali, contrattualistica, ticketing, fiscalità e previdenza, rafforzando le competenze di chi organizza e sostiene la musica dal vivo”.

“A breve i nostri corsi di formazione online, finora riservati agli associati, saranno resi disponibili a tutti”, ha concluso Note Legali: “Un passo ulteriore per allargare l’accesso alla conoscenza e mettere sempre più persone nelle condizioni di lavorare con consapevolezza e professionalità nel mondo della musica”.

Note Legali compie 19 anni

L’associazione celebra ‘un lungo percorso dedicato a formazione, informazione e tutela dei diritti’

Spotify ha rinnovato il proprio accordo di licenza con Merlin, licensing hub di spicco sul panorama indipendente che rappresenta label di rilevanza internazionale come !K7, Epitaph, Exceleration Music, Idol, Secretly e Sub Pop. Il sodalizio - hanno fatto sapere le aziende in una nota congiunta - “rafforza il ruolo fondamentale della musica indipendente su Spotify e garantisce ai membri Merlin un accesso continuo a una piattaforma che raggiunge fan in tutto il mondo".

L’intesa (definita “ampliata” rispetto alla precedente) segue quelle - già annunciate - con <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-754149/sony-music-nuovo-accordo-pluriennale-con-spotify">Sony Music</a>, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-749605/universal-music-e-spotify-nuovo-accordo-pluriennale">Universal Music</a> e <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-749865/spotify-dopo-umg-accordo-artist-centric-anche-con-warner-music">Warner Music</a>.

"Con l'evoluzione di Spotify, questo accordo garantisce che i membri indipendenti di Merlin siano pronti a plasmare il futuro dello streaming come partner chiave, contribuendo a costruire un ecosistema sostenibile e incentrato sugli artisti per la prossima generazione di artisti, etichette e distributori indipendenti”, hanno precisato Spotify e Merlin.

"La missione di Merlin è quella di dare ai nostri membri gli strumenti per essere padroni del proprio futuro", ha affermato Jeremy Sirota, CEO di Merlin: "Spotify rimane un partner chiave e lungimirante nel portare avanti questa missione. In un settore in rapida evoluzione, non si tratta solo di garantire condizioni che valorizzino i contributi degli artisti dei nostri membri; si tratta di creare strutture che liberino la creatività e garantiscano che i nostri dinamici membri globali, che rappresentano il 15% del mercato, possano continuare a crescere e prosperare. Insieme, ci impegniamo per un futuro in cui la musica indipendente sia un motore di scoperta e di valore per artisti e fan".

"La musica indipendente è sempre stata al centro della scoperta su Spotify e la nostra partnership con Merlin rende possibile tutto ciò su scala globale”, ha aggiunto Alex Norström, Chief Business Officer di Spotify: “Questo rinnovo riflette il nostro impegno nel garantire che le etichette e gli artisti indipendenti continuino a prosperare sulle piattaforme di streaming, mentre lavoriamo insieme per accrescere il valore della musica per i creatori di tutto il mondo".

Spotify, nuovo accordo di licenza con Merlin

Dopo le major, il DSP si assicura il catalogo anche di uno dei principali player indipendenti

“Quello che abbiamo prodotto negli ultimi dieci anni ci è stato rubato da Sanremo”.

Scherza (ma non troppo) Fabio Schillaci, co-fondatore di I Candeli, live club di riferimento per la scena palermitana, quando parla di "scippo" da parte del mainstream degli artisti nati e cresciuti sui palchi indipendenti. Gli risponderà qualche ora dopo, altrettanto scherzosamente, Antonio Di Martino, che ai Candelai è sempre stato di casa e che con Colapesce sbancò sul palco del Teatro Ariston, nel 2021, con “Musica leggerissima”: “Io, però,&nbsp;a suonare da te ci vengo ancora”.

Il tema, in ogni caso, non è ricordarsi degli amici, ma è più complesso. KeepOn, l’associazione di live club e festival indipendenti, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-747030/musica-dal-vivo-situazione-live-club-festival-indipendenti-difficolta">come un anno fa</a> ha scelto il capoluogo siciliano per il suo <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-754160/keepon-live-fest-2025-il-programma">festival annuale</a>, e per fare il punto della situazione sullo stato di salute del panorama degli spazi di&nbsp;musica dal vivo di base.

“Paradossalmente, oggi, sono in tanti a chiedersi se la situazione non fosse migliore in tempi di pandemia”, chiarisce il Direttore di KeepOn Federico Rasetti in apertura dell’assemblea: “Durante il periodo Covid, se non altro, c’erano delle direttive, e il settore si muoveva compatto. Oggi, al contrario, il nostro comparto sta affrontando diverse dimensioni di cambiamento in contemporanea”.

Le sfide per le realtà di musica dal vivo di base, spiega Rasetti, si sono concretizzate non solo nella concorrenza sempre più agguerrita delle grandi multinazionali, ma anche nella crescita dei costi di attività di gestione delle venue, della corsa al rialzo nel cachet degli artisti e nei cambiamenti nelle abitudini e nei consumi del pubblico. “Nessuno ha la pretesa di avere delle risposte a tutte le domande”, chiarisce il segretario di KeepOn: “L’unica nostra possibilità è unire le nostre visioni, anche differenti, e restare uniti, per cercare di avere almeno una bussola utile a orientarci sulla mappa di questi cambiamenti”.

Perché, alla fine - e anche se può sembrare poco romantico, è solo una questione di soldi. Con la fine del programma Creative Europe - che lascerà spazio a un nuovo programma, Agorà - gli spazi indipendenti per la musica dal vivo in Italia saranno sottoposte&nbsp;a un ulteriore&nbsp;stress test finanziario. E&nbsp;<a href="https://musicbiz.rockol.it/news-747030/musica-dal-vivo-situazione-live-club-festival-indipendenti-difficolta">i problemi già evidenziati nel corso della passata edizione del meeting</a> resteranno, in determinati casi persino acuiti.

In una quadro non esattamente roseo una ventata di speranza è stata portata, al KeepOn Live Fest, da Mark Davyd, fondatore e CEO del Music Venue Trust, rappresentanza delle grassroots venue britanniche. Racconta che in UK, dove è nata la cultura dei club, i problemi sono più o meno gli stessi che in Italia. “L’energia e gli affitti costano sempre di più”, spiega: “Senza contare che le giovani generazioni, tra l’altro, non bevono. E la vendita degli alcolici, per i locali live, da noi sono sempre stata una fonte di sostentamento primaria”. Complice anche la Brexit, la parabola discendente della gloriosa scena indipendente di musica dal vivo d’oltremanica è ormai <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-749611/uk-e-sempre-crisi-per-i-locali-di-musica-dal-vivo-indipendenti">cosa nota</a>. Solo nel 2024 il 44,8% delle venue indipendenti britanniche ha riportato un bilancio in perdita: a essere colpite, in particolari, sono stati i club con una capacità inferiore alle 400 unità. Complessivamente, lo scorso anno il calo nel numero degli eventi ospitato dagli spazi live indipendenti, nel Regno Unito, è calato del 12,5%, per una contrazione complessiva del numero di eventi in tutto il paese pari all’8,3%. Nonostante tutto, pare che gli operatori britannici&nbsp;una soluzione per uscire dall’impasse, o per lo meno di provarci, l'abbiano trovata.

Già a partire dal 2018, il Music Venue Trust si è attivato per rappresentare le grassroots venue e mettere in atto strategie di advocacy nei confronti delle istituzioni: dopo una prima audizione in parlamento nel 2019, l’associazione - confrontandosi con le maggiori società di live promoting attive nel paese - ha iniziato a elaborare un modello <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-751996/concerti-supporto-realta-indipendenti-con-meccanismi-redistributivi">redistributivo</a> di contributo da applicare ai biglietti per i grandi concerti, da “girare” a sostegno di festival e locali indipendenti. Dopo l’emergenza provocata dalla pandemia tra il 2020 e il 2022, il tema del contributo è tornato “caldo” nel 2023, quando - mentre le grandi multinazionali registravano fatturati record - nel solo Regno Unito 125 live club chiudevano i battenti. Nel 2024 un report bipartisan del parlamento inglese ha raccomandato il contributo, minacciando di emanare una legge ad hoc per renderlo obbligatorio nel caso le aziende si fossero rifiutate di applicarlo su base volontaria. Il resto, per così dire, è storia: nel 2025 del 24,1 milioni di biglietti venduti in UK passibili di contributo, 2,1 milioni sono stati coinvolti nelle operazioni di sostegno. Al momento, per il 2026, sono stati venduti - in Gran Bretagna - 3,2 milioni di biglietti passibili di contributo, con oltre 974mila dei quali inclusi nel programma di sostegno.

A rendere esemplare il percorso che ha portato all’adesione all’iniziativa su base volontaria da parte di multinazionali come Live Nation e AEG Presents c’è secondo Davyd, l’intervento di artisti di altissima fascia - i <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-746770/live-club-discoteche-inglesi-governo-coldplay-crisi">Coldplay</a> su tutti, che con <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-748183/katy-perry-ha-annunciato-il-suo-sostegno-al-music-venue-trust">Katy Perry</a> sono stati i primi a promuovere il progetto. In particolare, è stata proprio la band di Chris Martin a fare pressione affinché Live Nation accettasse di contribuire al programma spontaneamente.

I proventi generati dal contributo sui biglietti per i grandi eventi vengono fatti confluire da Music Venue Trust in un fondo apposito, che viene utilizzato per finanziare operazioni funzionali al rilancio delle economie del comparto - come, per esempio, la produzione di una particolare linea di birre in vendita nei locali legati all’associazione - e, nei casi più estremi, al rilevamento delle attività prossime al fallimento ai beneficio dei proprietari in difficoltà, ai quali viene concesso di continuare a gestire gli esercizi acquisiti.

“Ci abbiamo messo sette anni, ma alla fine il nostro obiettivo è stato raggiunto”, ha commentato Davyd, consapevole come l’avvio del programma sia solo l’inizio: “In un anno dove un leader di mercato come Live Nation <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-753542/live-nation-risultati-finanziari-secondo-trimestre-2025">continua a registrare performance molto brillanti</a>, in tutto il paese i live club continuano a chiudere. E, quelli che restano aperti, continuano a fare fronte agli stessi problemi di sempre: accuse di violazioni del copyright da parte delle società di collecting, esposti per il rumore da parte del vicinato, eccetera”.

“Il modello di contributo volontario è assolutamente esportabile, infatti sarà adottato anche in Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi”, ha concluso Davyd: “Anche in Italia potreste applicarlo. E gli argomenti per confrontarvi con le istituzioni li avete già pronti: ‘davvero vi importa dell’arte e della cultura italiana? E allora perché non volete aiutarci?”.

In Italia, per il momento, il percorso verso l’elaborazione di un sostegno rivolto alla realtà di base è tutto meno che vicino alla conclusione. Se da una parte AssoConcerti, entità che rappresenta i principali promoter italiani, aveva ipotizzato l’istituzione di un tax credit per eventi con capienza inferiore alle 5000 unità senza però sbilanciarsi su eventuali altre forme di supporto (“ma non formalizzerei le modalità: preferisco siano le istituzioni a stabilirle”, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-752240/assoconcerti-obiettivi-piu-spazi-semplificazione-intervista-sconocchia">aveva dichiarato al proposito il Presidente Bruno Sconocchia</a>), dall’altra i tempi della politica non sono compatibili con le esigenze - anzi, le emergenze - del settore.

“Non basta più parlare con la politica e aspettare i suoi tempi”, conclude Rasetti: “Inizia a essere importante entrare a giocare in campi nuovi, quelli economici, dove però - nel nostro comparto - ognuno fa la sua partita. Dobbiamo imparare a unirci, senza giocare ognuno nel proprio piccolo campionato. Nel settore della musica dal vivo, in Italia, il 70% delle economie lo smuove il 5% delle aziende: siamo la parte più caratteristica del restante 95%. Dobbiamo mettere a sistema dei servizi e parlare con dei partner che ci permettano di crescere. Esistono già strumenti per fare delle economie che vadano oltre il capitale dell’impresa, per ricadere direttamente sulla filiera, senza aspettare che siano i tempi della politica scandire il ritorno dell’attività degli organizzatori indipendenti alla sostenibilità”.

Il live indipendente e il tempo (che manca) di aspettare aiuti

Al KeepOn Fest di Palermo gli operatori si confrontano sulle criticità del settore. Mentre, in UK...

Daniel Ek, fondatore e fino a oggi CEO di Spotify, lascerà l’incarico che ha ricoperto negli ultimi 19 anni a partire dal prossimo primo gennaio, per passare al ruolo di Presidente Esecutivo. Gustav Söderströmm, attualmente co-presidente e Chief Product and Technology Officer, e Alex Norström, dal 2023 co-presidente e Chief Business Officer, sempre a partire dal primo gennaio 2026 saranno nominati co-CEO dell’azienda: entrambi riporteranno a Ek e siederanno nel Consiglio di Amministrazione della società, previa approvazione degli azionisti.

L’evoluzione, ha chiarito il DSP in una nota, “formalizza il modo in cui Spotify ha operato con successo dal 2023, con i co-presidenti che guidano in larga misura lo sviluppo strategico e l'esecuzione operativa di Spotify".

“In qualità di presidente esecutivo, il ruolo di Ek rispecchierà più da vicino la configurazione di un presidente europeo, in cui determinerà l'allocazione del capitale, definirà il futuro a lungo termine di Spotify e continuerà a fornire supporto e guida al suo team senior", ha precisato la piattaforma.

"Ho sempre creduto che Spotify potesse svolgere un ruolo importante nel rivoluzionare l'ascolto in tutto il mondo e, con oltre 700 milioni di utenti, abbiamo davvero tracciato una nuova rotta portando creatività in ogni angolo del globo", ha dichiarato Ek: "Negli ultimi anni ho affidato gran parte della gestione quotidiana e della direzione strategica di Spotify ad Alex e Gustav, che hanno plasmato l'azienda fin dai suoi albori e ora sono più che pronti a guidarci nella fase successiva. Questo cambiamento si limita ad adattare i titoli al nostro modo di operare. Nel mio ruolo di Presidente Esecutivo, mi concentrerò sul lungo periodo dell'azienda e manterrò un forte legame con il Consiglio di Amministrazione e i nostri co-CEO attraverso il mio coinvolgimento”.

"Abbiamo lavorato insieme per molto tempo e abbiamo accompagnato Spotify in molti capitoli diversi”, hanno fatto sapere, in una dichiarazione congiunta, Söderströmm e Norström: "Quasi tre anni fa, quando abbiamo assunto il ruolo di co-presidenti, abbiamo incaricato i nostri team di concentrarsi incessantemente sulla creazione dell'esperienza migliore e più preziosa disponibile ovunque e questa ambizione non è cambiata. Sebbene il nostro apporto di esperienze e prospettive al ruolo di CEO sia diversificato, siamo entrambi fortemente orientati all'azione, e non vediamo l'ora di iniziare sapendo che potremo contare sulla piena collaborazione e sul continuo supporto di Daniel".

"Il Consiglio di Amministrazione ha lavorato a stretto contatto con Daniel per diversi anni sull'evoluzione della struttura di leadership di Spotify. Abbiamo grande fiducia in Alex e Gustav che ricopriranno questi ruoli”, ha concluso Woody Marshall, Lead Independent Director del cda dell’azienda: "Ognuno di loro vanta oltre 15 anni di esperienza in azienda e ha avuto un ruolo determinante nel guidare il nostro successo e nel consentire a Spotify di guidare il nostro settore. Siamo inoltre entusiasti che Daniel sarà attivamente coinvolto, offrendo a Spotify sia la gestione strategica guidata dal fondatore sia il mentoring ai co-CEO, mentre l'azienda continua a innovare e crescere".

Spotify, cambio ai vertici: Ek lascerà il ruolo di CEO

Il fondatore sarà Presidente Esecutivo a partire dal prossimo primo gennaio

Motion Agency - agenzia che&nbsp;gestisce campagne PR pan-europee, supportando etichette major e indipendenti, management e tour - ha annunciato ufficialmente l’inserimento nel team internazionale addetto alla promozione del nuovo album dei Gorillaz, “The Mountain”, il primo pubblicato dall’etichetta di proprietà della stessa band - Kong - e distribuito dalla controllata di Sony Music The Orchard: la partnership prevede campagne promozionali in 13 paesi europei, tra i quali Italia, Spagna e Portogallo, oltre che in aree geografiche con Scandinavia ed Est Europa, con il supporto di PR team locali storicamente legati a Blur e Gorillaz.

“Dopo aver collaborato all’ultimo disco degli Africa Express, Bahidorá – progetto sempre guidato da Damon Albarn, che ha unito musicisti occidentali in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, il Mali e Messico – siamo orgogliosi di lavorare con i Gorillaz che hanno plasmato e ridefinito i canoni musicali degli ultimi 25 anni”, ha dichiarato Miriam Piro, Head of Project Management di Motion Agency.

“Da anni lavoriamo con The Orchard su artisti come Orchestral Manoeuvres in the Dark, Frank Turner, Blossoms”, ha aggiunto Laura Marongiu, Sr International PR Manager di Motion Agency: “Far parte di questa squadra di professionisti è un onore e una conferma della qualità del nostro lavoro su scala internazionale”.

Motion Agency ha il proprio quartier generale nel Regno Unito, e uffici distaccati in Italia e in altri paesi europei: l’agenzia ha avuto tra i propri clienti artisti come - tra gli altri - Lenny Kravitz, Kylie Minogue, Duran Duran, Black Crowes, Santana, Nickelback, Johnny Marr, Pixies e Kula Shaker. In Italia ha collaborato con Friends &amp; Partners per la promozione istituzionale dell’Arena RCF di Reggio Emilia e&nbsp;per il tour europeo di Dardust nel marzo/aprile 2025.

“Il multilinguismo e la multi-territorialità sono le due chiavi su cui abbiamo costruito Motion”, da dichiarato Paolo d’Alessandro, CEO di Motion Agency: “Oggi le etichette non hanno più bisogno di uffici stampa separati per ogni paese: offriamo la forza di un team locale unita alla capacità di coordinamento internazionale, a costi contenuti”. Managing Director dell’unità britannica è Mike Bartlett, dal 2007 al 2012 nello staff di Universal Music UK come Senior Product Manager (prima) e come Director, Decca Affiliated Labels (dopo).

Motion Agency, una collaborazione con i Gorillaz

Per la promozione del nuovo album della band, ‘The Mountain’

Sesac e GMR si sono unite a Songview, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-718923/collecting-negli-usa-alleanza-strategica-tra-ascap-e-bmi">piattaforma lanciata nel 2020 dalle collecting ASCAP e BMI</a> che fornisce un database pubblico sui diritti d’autore in grado di assicurare una visura completa e approfondita dei diritti applicati alle composizioni: grazie all’ingresso delle due società nel progetto, il catalogo di opere disponibili in Songview ha superato i 38 milioni di unità, “offrendo al settore - recita una nota diffusa in queste ore - la visione più autorevole sulla proprietà dei diritti d'autore e sulle quote di amministrazione delle esecuzioni pubbliche da un'unica fonte”.

"Siamo entusiasti di collaborare con BMI, GMR e SESAC per innovare e offrire maggiore trasparenza ai licenziatari sui dati di proprietà musicale per i repertori combinati della musica più eseguita al mondo", ha commentato Elizabeth Matthews, CEO di ASCAP, alla quale ha fatto eco Mike O'Neill, presidente e CEO di BMI: "E’ sempre stata nostra intenzione garantire che Songview diventasse la fonte più completa di informazioni sul copyright per il settore, ed è per questo che l'aggiunta dei dati GMR e SESAC è così importante”.

"Si tratta di un passo importante per rispondere alle esigenze dei licenziatari di avere una visione completa degli obblighi di licenza PRO”, ha chiosato Randy Grimmett, co-fondatore e CEO di Global Music Rights: "Questa soluzione collaborativa risponde alle richieste dei licenziatari e del Congresso, estendendo la visibilità dei dati di repertorio già disponibili presso SESAC”, ha concluso John Josephson, presidente e CEO di SESAC.

Collecting, Sesac e GMR entrano in Songview

La piattaforma si espande e supera i 38 milioni di opere

Uno dei festival più interessanti e internazionali d'Italia (nonché uno di quelli dal pubblico più giovane)&nbsp;si moltiplica e si espande in più direzioni. L'edizione dell'estate 2025 ha presentato 5 palchi e 120 artisti, con una crescita che è tornata ad essere quella del periodo pre-Covid. E soprattutto con un notevole indotto sul territorio: nella top 10 di AirBnB per ricerche su Annone Brianza (sede del festival), ha trainato una crescita del turismo costante negli ultimi anni. L'edizione 2026, annunciata nel corso di una conferenza stampa ieri a Milano, promette di essere ancora più ambiziosa, con una costante: "I nostri clienti devono vivere l'evento senza doversi preoccupare di tutto ciò che gira intorno ai concerti, semplificando l'accesso al mondo Nameless e rendendolo stress-free su tutti i fronti" spiega Alberto Fumagalli, CEO e fondatore di Nameless.

Molti i cambiamenti, che riflettono anche i cambiamenti nel panorama dei festival internazionali, che prediligono gli eventi esperienziali con acquisti spesso a scatola chiusa (circa il 20% dei biglietti di Nameless vengono venduti prima ancora dell'annuncio del cast). La prima novità è Nameless Winter, che si terrà nel bel mezzo delle olimpiadi di Milano-Cortina. "Sarà una vacanza-esperienza di più giorni in Val Sassina, a Barzio, il 14 e 15 febbraio. Avevamo lasciato Barzio nel 2019, quando avevamo superato le 20.000 presenze, per non impattare troppo sul territorio" racconta Fumagalli: "Proprio per questo non si tratta di un evento in quota: prevediamo 10.000 presenze al giorno e saremo a valle".

Grandi novità anche sulla location estiva, dal 30 maggio all'1 giugno: si torna nei pressi della città, proprio per favorire la comodità dell'utente finale.&nbsp;"Abbiamo fatto&nbsp;in modo da poter accedere in automobile, con parcheggi asfaltati, stazioni ferroviarie a 500 metri a piedi e un campeggio a 1 km dal festival. Lecco e Malgrate sono a 10 minuti a piedi. Inoltre siamo sul lago, e prevediamo anche vie d'accesso dedicate attraverso l'acqua". La line-up richiamerà le radici di Nameless, con headliner Axwell, dj di fama mondiale. A precedere&nbsp;e contornare il festival,&nbsp;una nuova iniziativa sempre targata Nameless, la Lake Como Music Week, che coinvolgerà tutto il territorio del lago. A curarne il programma sarà Damir Ivic, giornalista musicale: "Un'iniziativa&nbsp;con location importanti e prestigiose e un programma ricco,&nbsp;per approfondire dedicato anche agli addetti ai lavori. Vogliamo che la presenza al Nameless non sia solo un divertimento per loro, ma anche un'occasione per farsi venire nuove idee" dice Ivic. I biglietti sono già in vendita.

Il Nameless Festival si fa in tre

Presentata a Milano l'edizione 2026: oltre al festival anche uno spin-off invernale e una music week

Con 24 voti a favore e 20 contrari (più due astenuti) il Consiglio comunale di Milano ha approvato la vendita dello stadio Meazza di San Siro a Milan e Inter, società calcistiche ha fino a oggi avevano in concessione la struttura, per 197 milioni di euro.

L’”attuale” Meazza, destinato a ospitare la cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali Milano - Cortina, sarà demolito per fare spazio a una nuova struttura, la cui progettazione sarà curata dagli studi Foster + Partners (già autore - tra gli altri - dell’Apple Park di Cupertino, in California) e da Manica, studio fondato da David Manica nel 2007 che ha già posto la sua firma sui disegni del Chase Center di San Francisco: insieme, Foster e Manica hanno curato il progetto per il nuovo stadio di Wembley, oltre che quello del Lusail Stadium, costruito in occasione dei Mondiali di Calcio del 2024 in Qatar.

Così come già accaduto a Wembley, parte del progetto per il “nuovo” Meazza prevede un piano integrato di riqualificazione dell’area urbana che ospita la struttura di circa 281mila metri quadrati, incentrato su “innovazione e sostenibilità”. Stando a una nota diffusa dagli studi, il progetto prevede uno stadio da 71,500 posti, con “due ampie tribune con una pendenza progettata per garantire una visibilità ottimale da ogni settore”, “elevati standard di accessibilità” e “settori a prezzi accessibili”.

L'"inizio della fine" - almeno per come il pubblico l'ha conosciuta - della Scala del Calcio, negli anni diventata una delle venue per musica dal vivo più amate dal pubblico italiano e internazionale, rappresenta senza dubbio un passaggio molto doloroso non solo per centinaia di migliaia di appassionati, ma anche per tanti artisti che - dallo storico live di Bob Marley del 29 giugno 1980 in poi - davanti agli spalti del Meazza si sono esibiti.

"Non può accadere, sarebbe terribile", aveva dichiarato la colonna della E-Street Band di Bruce Springsteen <a href="https://www.rockol.it/news-720381/steven-van-zandt-e-street-band-bruce-springsteen-salvate-san-siro">Steven Van Zandt a proposito di un eventuale abbattimento del Meazza</a>&nbsp;a favore di una nuova struttura:&nbsp;"A renderlo diverso anzitutto è la gente, i fan... sono incredibili ovunque ma a Milano un po’ più matti. Ma uno dei motivi per cui è così bello è la sua configurazione: si suona sul lato lungo e quindi il fondo della platea è più vicina del solito. E poi è anche più alto. Tutto questo lo rende più intenso, come se fosse un grande teatro. Se ci sarà un altro posto ci andremo, ma non sopporto quando un posto leggendario e sacro viene distrutto".

Milano, San Siro: dal Comune ok alla vendita dello stadio Meazza

In arrivo una nuova struttura da 71,500 posti

Già nel 2024 Sahdguru – mistico e yogi indiano da 5 miliardi di views su YouTube, fondatore della Isha Foundation, speaker e divulgatore di grande esperienza e promotore di molti programmi mondiali su temi come l’ecologia, il benessere, la pace e la consapevolezza – era transitato da Milano per condividere la sua saggezza con un gruppo di musicisti e professionisti dell’industria musicale. In quel caso si trattava di un incontro ristretto con la community di Moysa, l’hub musicale creato da Shablo e Fabrizio Ferraguzzo. Quest’anno, più precisamente sabato scorso, è tornato nel capoluogo lombardo per un’occasione ancora più aperta: An Evening with Sahdguru, questo il titolo dell’evento, era un happening dedicato alla comunità musicale e creativa milanese, che ha visto la partecipazione di circa 300 persone tra cui molti noti artisti come Nina Zilli, Tormento, Mimì, Ermal Meta, Charlie Charles, Chiara Galiazzo e Davide Shorty, oltre a personalità radiofoniche come Massimo Oldani, Andrea Pellizzari e Katamashi. Numerosi anche gli addetti ai lavori presenti in sala.

Il focus era sulla salute mentale, e in particolare su come riuscire a mantenere un equilibrio interiore lavorando in un ambito frenetico ed emotivamente provante come quello artistico e performativo. L’incontro, che si è svolto nella splendida cornice di una sala a porte chiuse della Triennale ed è durato oltre due ore, si è sviluppato in due filoni: un lungo monologo di Sahdguru e uno spazio aperto alle domande dei presenti, guidato da Shablo. Molte delle riflessioni del mistico indiano sono in realtà applicabili alla vita di tutti noi, in particolare l’invito a non farci trascinare dai nostri pensieri e di essere sempre parte attiva nella nostra vita, senza lasciare che le emozioni represse ci blocchino dal realizzare i nostri desideri. Altre erano indirizzate nello specifico a chi ha votato la propria vita all’arte, con esempi e parabole che (come da tradizione mistica) miravano a rendere concreti ideali astratti come la creatività.&nbsp;“Se immaginate un castello in aria e lo costruite nella vostra testa, probabilmente tutti cominceranno a complimentarsi per la vostra fantasia e inventiva” ha argomentato. “Se però comincerete a parlare di trasferirvi a vivere in quel castello, probabilmente penseranno che avete qualche rotella fuori posto”. Il rapporto tra il frutto della propria creatività e la realtà circostante, insomma, può essere complesso, come è emerso anche dalle molte domande poste al guru: su&nbsp;successo, paura, fallimento, riscontri di pubblico e critica.

In particolare è la fama, con tutti i suoi pro e i suoi contro, a essere un tema sensibile per i giovani artisti. “Non dovete preoccuparvi della fama, quelle sono questioni che non vi riguardano: il fatto che siate famosi o meno è un’opinione degli altri. Se lasciate che siano loro a guidare le vostre azioni, è finita” ha sottolineato Sahdguru. “Inoltre, la fama non è negativa in sé: se fate qualcosa che ritenete importante e degno di essere veicolato, in un certo senso è essenziale che diventiate famosi, altrimenti il rischio è che il mondo non possa beneficiarne”. Grande importanza è stata data anche agli stereotipi su sofferenza e tormento, che spesso sembrano essere il primo vero motore creativo per gli artisti; Sahdguru dissente da questa visione. “Nel ‘900 la sofferenza era tenuta in grande considerazione nella società europea” ha osservato. “L’infelicità era esaltata e decantata come sintomo di intellettualità, e per questo motivo abbiamo perso molte figure importantissime, da John Keats in giù”. Insomma, l’idea che il vero artista debba soffrire è una visione molto occidentale, e non bisognerebbe sposarla in toto.

Oltre ai consigli sui massimi sistemi e su come vivere appieno la propria esperienza di musicista, Sahdguru si è soffermato anche sul concetto di musica in senso materiale e immateriale. “Il suono può essere uno strumento straordinario, se sappiamo come usarlo” ha riflettuto, spiegando che&nbsp;ha una sua geometria e che le vibrazioni hanno un loro preciso impatto sul nostro fisico, tanto che esiste perfino una forma di yoga dedicata proprio a questo, il Nada Yoga. “Fate musica che possa essere veicolata e risuonare anche senza amplificazione. Amplificare il suono è come passare sopra agli ascoltatori con un bulldozer” ha chiosato. Insomma, anche se alcuni suoi suggerimenti possono essere di difficile applicazione nell'industria musicale occidentale, l’incontro con un guru di tale rilevanza mondiale è stata un’esperienza rigenerante e arricchente, che ha fornito un punto di vista di grande interesse e tanti spunti di riflessione.

Musica, felicità e salute mentale nelle parole di Sahdguru

Il mistico indiano ha incontrato la comunità creativa di Milano in un incontro organizzato da Shablo

Warner Music Italy ha siglato tramite la sua divisione ADA un accordo di distribuzione con l'etichetta indipendente romana Honiro, particolarmente importante per consolidare la sua posizione di mercato nel panorama urban. La label, infatti,&nbsp;è stata fondata nel 2009 da Jacopo Lavecchia ed è stata particolarmente attiva nello scoprire e lanciare nuovi talenti ormai affermatissimi: rapper come Gemitaiz, MadMan, lowlow, Vegas Jones, Shiva, Mostro e Il Tre hanno pubblicato con loro i primi mixtape o freestyle. Ha anche contribuito a lanciare diversi personaggi oggi ben noti nel mainstream del pop, come Briga (vincitore di Amici di Maria De Filippi) e soprattutto Ultimo (che partecipò al suo primo Sanremo Giovani e vinse quando ancora era nel roster dell'etichetta). L'accordo riguarda sia i&nbsp;progetti futuri che la valorizzazione del catalogo.

“Sono entusiasta di iniziare una nuova collaborazione con Ada/Warner Music" ha dichiarato&nbsp;Jacopo Lavecchia. "In un mercato in costante cambiamento, Honiro resta focalizzata su quello che sa fare meglio: scoprire talenti, raccontarli con credibilità e metterli nella condizione di emergere e costruire carriere solide". Analogo entusiasmo da parte di Pico Cibelli, presidente e CEO di Warner Music Italy:&nbsp; "È un piacere poter mettere a fattor comune competenze, visioni e strategie con una label indipendente così radicata e autorevole come Honiro”.

Warner Music distribuirà tramite ADA l'etichetta Honiro

Storica label urban italiana, ha in catalogo i lavori underground di molti nomi oggi celebri

<a href="https://musicbiz.rockol.it/news-751569/stai-innovando-la-musica-raccontacelo-speciale-startup-musicbiz">Come già annunciato a metà dello scorso mese di maggio</a>, Rockol MusicBiz - la sezione di Rockol dedicata all’industria musicale - ha avviato un focus sulle start-up musicali italiane. Nelle prossime settimane, con cadenza regolare, su queste pagine presenteremo i profili delle nuove aziende che stanno cercando di innovare l’industria di settore combinando tecnologia a sensibilità artistica e creativa. Protagonista della puntata di oggi è…

Nome del progetto: Monetunes 
Anno di fondazione: ottobre 2024 - Lancio: gennaio 2025 
Sede operativa:&nbsp;Fully remote (con team distribuito tra UK, Italia e resto d'Europa). 
Fondatori:&nbsp; 
Antonio Di Puorto (CEO) -&nbsp;Oltre 10 anni di esperienza nell'industria musicale (<a href="https://startupitalia.eu/tech/il-dj-che-ha-voluto-diventare-startupper-con-la-mia-startup-gli-artisti-non-perdono-nessuna-royalty/" target="_blank">scopri di più</a>) 
Mark Stanbury (CRO) - Oltre 30 anni di esperienza di business development in tech e Saas.

Descrizione sintetica dell’attività:&nbsp;Monetunes è una piattaforma di amministrazione editoriale che aiuta artisti, etichette e agenzie a recuperare royalties non pagate e a gestire i diritti d'autore in modo semplice e trasparente. La piattaforma registra le opere in oltre 200 società di collecting a livello mondiale e offre una dashboard unica per monitorare, ripartire e incassare le royalty.

Che problema risolviamo: Monetunes risolve il problema dei miliardi di euro in royalty editoriali che non vengono raccolti da artisti ed etichette indipendenti a causa della complessità e frammentazione del sistema globale. Monetunes automatizza questo processo, permettendo ai creatori di incassare i propri guadagni in modo accurato, anche da territori complessi e per brani pubblicati in passato.

In cosa consiste l’innovazione:&nbsp;Monetunes è la prima piattaforma italiana completamente integrata con le principali società di collecting mondiali (SIAE, BMI/ASCAP e altre 200+) senza la necessità di intermediari editoriali. Offre un'esperienza utente intuitiva, con un processo di onboarding che richiede solo pochi minuti e una gestione semplificata dell'intero catalogo.

Stato attuale: La piattaforma è attiva sul mercato con migliaia di utenti registrati. Gestisce un catalogo che ha generato oltre 1 miliardo di stream, posizionandosi nel Top 1% degli editori musicali al mondo. Il catalogo include opere con contributi di artisti di fama internazionale come Zedd, Charlie Puth, Maren Morris, Timmy Trumpet e altri.

Partnership:&nbsp;Collaborazioni attive con piattaforme di servizi per artisti come Matchfy, Songstats, Fiverr, Groover e molti altri.

Link utili: 
<a href="http://www.monetunes.com" target="_blank">SITO WEB</a> | <a href="https://www.linkedin.com/company/monetunes" target="_blank">LINKEDIN</a> 

Contatto diretto:&nbsp;admin@monetunes.com

Startup musicali, il focus: Monetunes

Una panoramica sulle realtà innovative italiane: oggi parliamo di…

E’ stata annunciata la nascita di Brio Media Group, “progetto cross-mediale - spiega la nota di presentazione - che unisce televisione, editoria, podcast e digital con una missione precisa: valorizzare l'eccellenza musicale italiana aprendo al contempo una finestra sulle migliori proposte internazionali”.

La realtà, che debutterà con il programma "Ascolti - Musica Fuori Classifica" l'8 ottobre alle 22:30 sul canale 170 del digitale terrestre (Prima Free), “si propone come piattaforma di scoperta e promozione per artisti emergenti e consolidati, con particolare attenzione al talento nazionale”.

Il format televisivo sarà affiancato da un sistema di podcast dedicati, una serie di rubriche su BrioMagazine, playlist su Spotify e “una strategia social integrata”.

“Vogliamo essere il megafono delle realtà musicali di qualità, con un occhio di riguardo alla scena italiana che spesso fatica a trovare spazi adeguati”, spiega la direzione artistica: “La nostra forza è la moltiplicazione delle piattaforme: un artista selezionato avrà visibilità trasversale su tutti i nostri canali”.

Fondatore e direttore artistico di BrioMagazine è&nbsp;Bruno Giraldo, <a href="https://www.rockol.it/news-658998/suonare-nei-locali-senza-suonare-cover-se-i-gruppi-diventano-pubblico">in passato già animatore del progetto C.A.L.M.A.</a>.

Nasce Brio Media Group

Un ‘progetto cross-mediale’ per valorizzare la scena underground e gli emergenti italiani

Ad aprire il dibattito è stato la superstar portoricana&nbsp;Bad Bunny, che qualche settimana fa ha dichiarato di aver rinunciato per il momento a fare concerti negli Stati Uniti per paura che i suoi fan (molti dei quali stanno vedendo il loro status di residenti americani messo in dubbio dai vari decreti di&nbsp;Trump) siano presi di mira dall'ICE, la temibile agenzia governativa deputata a rimpatriare gli immigrati, nota per effettuare vere e proprie retate e incursioni, sebbene perfettamente legali. Ma a quanto pare la questione va ben oltre: secondo molti analisti, infatti, l'industria della musica latina negli USA&nbsp;sarebbe in procinto di affrontare perdite da milioni di dollari.

C'è un precedente illustre, ha riportato Billboard recentemente: quello di George W. Bush, che nei primi anni '00 danneggiò a sua volta il giro d'affari del segmento latin a causa delle sue politiche repressive nei confronti degli immigrati di origine messicana. Abel DeLuna, responsabile dell'associazione di organizzatori di concerti Promotores Unidos, nel 2007 aveva quantificato questo calo&nbsp;in una forchetta che andava dal 20 al 25% in meno negli incassi. L'equazione era semplice: la gente aveva paura di essere identificata e rimpatriata, quindi disertava qualunque attività aggregativa della comunità latina, compresi&nbsp;i live. Ma sta succedendo anche oggi?&nbsp;

A quanto pare sì, ma con implicazioni e premesse leggermente diverse. Ad esempio, il Michelada Festival di Chicago quest'estate è stato cancellato all'ultimo per ragioni che riguardavano "il clima politico in rapido cambiamento", come recitava il comunicato stampa, ma anche per questioni molto più pratiche: le procedure per ottenere visti lavorativi per gli artisti che avrebbero dovuto suonare risultavano molto più lunghe, complicate e incerte che in passato. In particolare per gli artisti che appartengono alla scena dei narcocorridos, un sottogenere tradizionale messicano che per tematiche e immaginario è paragonabile al gangsta rap in America.&nbsp;

Lo scorso maggio, perfino una mega star come&nbsp;Julión Álvarez, specializzato in musica messicana melodica e abituato a tournée mondiali di livello, si è visto revocare il visto (che aveva già formalmente ottenuto senza problemi) il&nbsp;giorno&nbsp;prima di una&nbsp;data&nbsp;texana&nbsp;del suo tour. Una notizia che ha colpito molti, perché il suo gruppo - Julión Álvarez y Su Norteño Banda -&nbsp;avrebbe dovuto suonare all'AT&amp;T Stadium in Arlington, vicino a Dallas, e il concerto era già sold-out con ben 50.000 biglietti venduti. Il palco, inoltre, era già stato montato e tutte le maestranze impegnate nell'allestimento dello spettacolo erano già in loco.&nbsp;L'impatto economico della cancellazione, insomma, è stato enorme. "Non possiamo entrare negli Stati Uniti e esibirci come promesso di fronte a voi. E' una situazione che è fuori dal nostro controllo. Queste sono le uniche informazioni in nostro possesso, non sono in grado di dirvi di più" ha spiegato&nbsp;Álvarez in un video condiviso su Instagram.

Al momento lo show è semplicemente rimandato a data da destinarsi, ma senza avere certezza di quando potrà essere riprogrammato, visto che la richiesta di visto è stata respinta. Il caso di&nbsp;Álvarez è il più eclatante, ma non il solo: di recente è successo lo stesso a Los Alegres del Barranco, una band che gli&nbsp;USA ritengono possa avere legami con un&nbsp;cartello di droga messicano. Insomma, è in particolare il comparto&nbsp;del live ad avere le maggiori difficoltà al momento, e la situazione non sembra destinata a migliorare.

Le politiche di Trump danneggiano l'industria della musica latin?

Lo sostengono molti analisti, secondo cui il segmento starebbe perdendo milioni di dollari

Questo approfondimento in tre puntate prende spunto dall’annuncio dei programmi dichiarati dal nuovo DSP Coda Music per analizzare alcune dinamiche evolutive dello streaming, a circa 15 anni dalla sua affermazione come principale modello di monetizzazione per l’industria della musica registrata.

Che ruolo hanno e come funzionano effettivamente gli algoritmi nello streaming, oggi? Quali caratteristiche li rendono compatibili o incompatibili con le caratteristiche social-first tipiche di altri generi di piattaforme? Come possono servire la curatela umana evolvendo in un contesto di maggiore trasparenza per artisti, utenti e label? Infine, di quali meccanismi e regole dovrebbe dotarsi una piattaforma di streaming social-first? 
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PARTE PRIMA: Music discovery: cosa ha annunciato Coda Music, come funziona oggi l’algoritmo nello streaming e quali sono i pro e i contro rispetto a curatela umana e a opzioni ibride.

Chiedersi se e come una nuova modalità di streaming sia possibile senza l’ausilio dell’algoritmo è diventata una domanda legittima da quando, la scorsa settimana, è stato annunciato il lancio in U.S.A. e Canada di Coda Music.

Il motto del nuovo DSP, “crowd, not cloud”, è dirompente e sintetizza una promessa: “social network + streaming in un’unica app”, con il ricorso a una comunità di raccomandatori umani (“crowd”) destinati a prevalere sul tradizionale playlisting&nbsp;automatizzato e dinamico dettato dall’algoritmo (“cloud”).

I portavoce della startup hanno raccontato ai media americani che la loro piattaforma è dotata di un catalogo musicale completo già regolarmente licenziato sia dalle majors che da Merlin per le indies, che conta su funzioni social nativamente integrate (profili, feed, community) e che si prepara a sbarcare anche in Europa nella prima parte del 2026.&nbsp;

Nel dibattito sull’equa ripartizione delle royalties da streaming, Coda Music non si schiera né sulla sponda “<a href="https://musicbiz.rockol.it/tutto-su/artist-centric-494626">artist first</a>” né su quella “user first”, ma va dritta al punto e annuncia una formula tutta sua, i pagamenti&nbsp;pro-artista. Promette, cioè, che oltre alla normale distribuzione per-stream o per quota, sulla nuova piattaforma ogni abbonato potrà destinare $1/mese della sua tariffa d’abbonamento (piano individuale: $10.99/mese, family: $16.99/mese) a un singolo artista e che, grazie a questa opzione ribattezzata “FanDirect”, il payout&nbsp;di Coda sarà il più elevato del settore.&nbsp;

Il suo modello, inoltre, è premium e non freemium, ovvero non è previsto un tier&nbsp;gratuito sostenuto dalla pubblicità; segno di una postura precisa e decisa, poiché Spotify insegna come applicare la cosiddetta logica ‘top of the funnel’ sia molto funzionale alla conversione di quelle larghe fasce di utenza originariamente attratte da una prova&nbsp;del servizio in clientela pagante e ricorrente. Rinunciandovi, e unendo alla ricetta una narrazione pro-creator, Coda intende posizionarsi come alfiere di una nuova generazione di DSP che ha preso nota che la crescita a doppia cifra dello streaming sarà in futuro soltanto quella del settore indipendente e che questo settore, tutt’uno con la creator economy, non può essere più gestito appropriatamente senza essere nativi social.

Solo il tempo decreterà la bontà e il successo di questa visione. Però non occorre attendere per cominciare ad approfondire il ruolo dell’algoritmo nello streaming e interrogarsi sulla sua effettività sostituibilità o compatibilità con la curatela umana in chiave social.

Dove l’algoritmo vince

La principale ragione per cui l’algoritmo è uno strumento essenziale per i DSP si riassume in due termini: scalabilità e personalizzazione.

Scalare significa riuscire a garantire le prestazioni di una piattaforma pur aumentandone in modo esponenziale gli utenti. Mantenere la qualità e la performance anche quando il traffico cresce per dieci, o per venti. Ebbene, nello streaming musicale l’algoritmo segmenta milioni di utenti in tempo reale, annotandone il comportamento in piattaforma (skip di canzoni di album o playlist; operazioni di ‘save’ o ‘repeat’ etc.) e correlandolo al contesto d’ascolto (dove, quando, con quale dispositivo). E’ in questo modo che garantisce freschezza del servizio, aggiornando costantemente le scelte e reagendo subito ai trend, e a individuare micro-affinità tra utenti che un curatore umano non può cogliere a colpo d’occhio perché la long tail&nbsp;(ossia: la quantità di artisti e canzoni con pochi o zero stream, superiore al 99% del totale) è e sarà sempre più sconfinata. Inoltre, l’algoritmo offre quella preziosa attività detta di “test &amp; learning”: ottimizza, cioè, per mezzo di continui e ripetuti A/B test, regolando l’ordine dei brani proposti, il timing, la durata d’ascolto.

Dove l’algoritmo perde

Se si trattasse di una competizione, si potrebbe dire che l’algoritmo parte con l’handicap. In linguaggio tecnico la sua zavorra strutturale si definisce “cold start”: significa che nelle sue scelte penalizza tutte le novità che sono ancora prive di segnali iniziali. Empiricamente qualsiasi appassionato (il music fan, non l’utente passivo, non l’ascoltatore occasionale) ha sperimentato quello che è emerso come il peggiore difetto dell’algoritmo: l’omologazione. L’algoritmo spinge sul cosiddetto già simile, finendo con l’appiattire l’identità di catalogo.

Essendo al servizio di ‘prompt’ e di istruzioni precise, è incapace di cogliere da sé il contesto culturale: non sa nulla del “perché” di un brano, non si correla alle scene locali se non con l’ausilio di metadata relativi ad eventi presenti in database e non è utile nell’irrobustire le raccomandazioni con una narrazione. Infine, ultimo ma purtroppo non proprio ultimo, è afflitto da alcuni pregiudizi raggruppabili nel “bias di popolarità”, che si manifesta quando la popolarità di un brano (rilevata come tale anche solo in base a trend neonati) viene trattata come sinonimo della sua qualità, ergo costituendo una valida ragione per raccomandarlo. Sul bias di popolarità sia i bot che le operazioni di “playlist farming” apparecchiano grandi banchetti.

Dove la curatela umana vince

E’ vero che molto spesso, laddove l’algoritmo pecca, la curatela ‘analogica’ eccelle. Qualche esempio.

Cominciamo dal peccato originale, la “music discovery” – il problema esacerbato dal surplus di offerta di canzoni che l’algoritmo è incaricato dalle piattaforme di risolvere. La scoperta della musica è sì un’esperienza soggettiva (infatti Tizio deve ancora scoprire quello che Caio ha già scoperto), ma il concetto della scoperta&nbsp;è anche parente dello scouting: la scoperta è tale perché qualcuno suggerisce l’ascolto di certa musica in base a sue caratteristiche diverse da quelle del suo consumo. Questa è la differenza fondamentale: il curatore può azzardare scommesse sul futuro, scoprire prima che i segnali di consumo emergano dai dati che l’algoritmo filtra velocemente in base alle sue istruzioni. Questa sottolineatura apparentemente banale, in realtà, è là per ricordarci che l’intera esperienza dello streaming oggi è basata sul consumo; è una derivata dell’accesso che sostituisce il possesso, del menu illimitato consentito da un abbonamento, della fusione in un’unica piattaforma di offerta e in un’unica esperienza di domanda tra quelle che una volta erano fasi nettamente distinte – l’apprendimento e la conversione in acquisto, oppure la radio e il negozio di dischi. Da qui derivano le altre caratteristiche positive della curatela umana, in grado di fornire all’utente una cornice culturale perché racconta e seleziona controcorrente, creando fiducia e identità editoriali, magari collegate a scene territoriali. Soprattutto, le sue raccomandazioni promettono maggiore equità qualitativa perché introducono voci e stili sui quali, magari, l’algoritmo sorvola.

Dove la curatela umana perde

Qui è facile: perde rispetto a tutto ciò che l’algoritmo consente – e per cui, sotto diversi aspetti, è necessario. In sintesi: scalabilità e costi (il confronto non è nemmeno proponibile), rapidità di aggiornamento e coerenza sui volumi di catalogo.

E se il modello fosse ibrido…?&nbsp;

La nostra esperienza di fruitori delle piattaforme di streaming musicali è progettata intorno alle raccomandazioni, incaricate di intercettare i nostri gusti e suggerirci qualcosa di nuovo che sia coerente con essi - oppure che sia diverso eppure accettabile (nello stesso modo in cui si può adorare al contempo un vino rosso e uno champagne). Tecnicamente, ciò è possibile in base a due principali tecniche e criteri di raccomandazione: il collaborative filtering&nbsp;e il contenuto. Nel caso del ricorso al filtraggio collaborativo, l’algoritmo consiglia contenuti o prodotti in base a ciò che&nbsp;hanno scelto altre persone, il che&nbsp;amplifica&nbsp;i feedback loop&nbsp;positivi nella rete. Nel caso in cui sia il contenuto ad essere centrale per l’algoritmo, le raccomandazioni si basano su&nbsp;attributi del contenuto o del prodotto stesso, tendono a&nbsp;ignorare la popolarità&nbsp;e quindi&nbsp;attenuano&nbsp;i feedback loop. Ora, se è impossibile sapere come sia ingegnerizzato un sistema di raccomandazione se la piattaforma in questione non lo dichiara, sappiamo con certezza che molti algoritmi di DSP&nbsp;combinano entrambi&nbsp;i tipi di criteri, forse ad eccezione di Pandora. Ma farlo non equivale a utilizzare un modello ibrido, è solo l’ottimizzazione di due tecniche complementari.&nbsp;

Il modello diventa realmente ibrido quando il ricorso all’algoritmo si affianca alla curatela umana. Il che, in linea di principio, è il ricorso al buonsenso - come recita quell’efficace metafora: “Human sets the diet, algorithm serves the meals”. Significa immaginare che i principi di raccomandazione siano fissati dal curatore per poi venire applicati dall’algoritmo, dotato per natura di un’efficacia molto superiore. In questo scenario all’editor spetta la definizione di un brief&nbsp;ottimale, che disegni un perimetro preciso con vincoli e istruzioni assortite: ad esempio sulle quote tra artisti nuovi e artisti legacy, o sulle le quote di diversità, o sui limiti alle ripetizioni, sul tetto alle esposizioni (per canzone, artista, label), sulla deduplicazione, su come implementare modalità di boost&nbsp;trasparenti per valorizzare gli emergenti e le scene locali. All’algoritmo tocca viaggiare all’interno di questi guardrail&nbsp;proponendo candidati, personalizzando l’ordine in base all’utente (learning-to-rank), ricorrendo a segnali che vadano oltre i soli stream (save/add-to-library, tasso di completamento di ascolto, replays, follow del curatore, skip di brani prima dei 30 secondi, conversione a fan o follow artista).&nbsp;

In questo scenario alcune metriche diventano metriche-chiave, come tasso di playlist retention, tasso di scoperta (nuovi artisti ascoltati), differenza tra l’uplift&nbsp;di natura editoriale e quello di natura algoritmica, breakout conversion&nbsp;(passaggio da 0 a 100mila ascoltatori/mese), qualità (skip-rate, save-rate).

Ma… non è già quello che accade? Solo in parte. L’innovazione, dopo tutto, consiste nel rendere quel brief&nbsp;di cui sopra molto più stringente.

(Continua)

Streaming; via algoritmo, dentro i social media. E il futuro? (1)

Il caso Coda Music: analisi su prospettive e limiti della curatela umana distribuita. Parte prima.

<h2>Presentazioni, incontri</h2>

Da lunedì 29 settembre&nbsp;a venerdì 3&nbsp;ottobre

Il panorama milanese questa settimana è particolarmente vivace. Si comincia lunedì 29 settembre con la conferenza di presentazione del Nameless Festival; a seguire, giovedì 2 ottobre è prevista la presentazione dell'album di Sarah Toscano, "MET Gala"; sempre giovedì 2 ottobre la cantantessa per eccellenza Carmen Consoli presenterà il suo nuovo album, "Amuri Luci"; venerdì 3 ottobre, infine, è da segnare in calendario la presentazione della nuova edizione del Premio Tenco. Segnaliamo inoltre per la serata dell'1 ottobre l'evento Siamo Pluggers, presentazione del roster dell'etichetta Pluggers.

Presentazioni in settimana a Milano

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Lunedì 29&nbsp;settembre

L'atteso album e tour di Renato Zero, dal titolo "L'OraZero", sarà presentato in una speciale videoconferenza aperta alla stampa di settore.

Presentazione in videoconferenza

<h2>Eventi, convegni</h2>

Lunedì 29&nbsp;settembre

Quel Gran Genio, rassegna milanese diffusa dedicata a Lucio Battisti,&nbsp;si chiude&nbsp;proprio il 29 settembre (giorno molto caro al maestro) con uno speciale concerto&nbsp;presso il&nbsp;Teatro Gerolamo&nbsp;&nbsp;dedicato all’album “E già”, lavoro spartiacque nella discografia di Battisti, pubblicato nel 1982 e scritto insieme a Velezia.&nbsp;

Teatro Gerolamo, Piazza Cesare Beccaria&nbsp;8, Milano

<h2>In&nbsp;tour, in uscita</h2>

Venerdì 3 ottobre 
Oltre agli album italiani&nbsp;già citati tra le presentazioni, doveroso menzionare le principali uscite straniere, tra cui l'attesissimo nuovo album di Taylor Swift "The Life of a Showgirl" e quello di Richard Ashcroft, "Loving You".

Da martedì 30&nbsp;settembre a&nbsp;sabato 4 ottobre 
La settimana dell'urban italiano è particolarmente densa di eventi: martedì 30 settembre e mercoledì 1 ottobre doppia data al Forum di Assago per Fabri Fibra, decano del rap nostrano. Un altro grande capostipite del genere, il producer e dj Shocca, suonerà all'Alcatraz l'1 ottobre con un parterre ricco di ospiti a sorpresa. Ed è festa anche per Francesca Michielin, che il 4 ottobre sarà all'Arena di Verona per il suo concerto-evento per festeggiare il suo trentesimo compleanno.

Per segnalazioni di eventi e presentazioni - che devono essere legati al mondo dell'industria musicale - si può scrivere a<a href="mailto:agenda.musicbiz@rockol.it,%20?subject=Segnalazione%20per%20Agenda%20Music%20Biz">&nbsp;agenda.musicbiz@rockol.it</a>

MusicBiz 7 Giorni: l'agenda dell’industria musicale

Presentazioni, release, inaugurazioni, eventi: gli appuntamenti della settimana

Clara è la protagonista del nuovo spot televisivo di Astra Make-Up: la clip, battezzata “Beauty Beyond Filters”, è stata diretta dal duo di registi Younuts!, e porta la firma creativa di Camelot con la produzione di Think Cattleya. Colonna sonora del video è “Uragani”, il nuovo singolo della cantante varesina.

“Con questo progetto abbiamo costruito, insieme a Think Cattleya, un racconto che unisce la forza narrativa di Clara, l’impatto visivo di Younuts! e la visione di Astra Make-Up”, ha dichiarato Paola Mazzaglia, founder e CEO di Camelot: “E’ la prova di come brand, musica e intrattenimento possano generare esperienze autentiche e potenti”.

La campagna segna il lancio della nuova skin tint&nbsp;Filterdrop: come recita una nota dell'azienda, "Clara – icona della Gen Z e voce tra le più intense del panorama pop italiano – incarna con la sua energia il concept del filtro reale, trasformandolo in musica e performance".