SAMR è l’acronimo che indica, in Cina, lo “State Administrator for Market Regulation”. E’ l’organo che si occupa della materia anti-trust, ed anche il peggior incubo attuale per Tencent Holdings, che detiene le quote di maggioranza di Tencent Music, principale DSP asiatico che a sua volta possiede quote rilevanti di Spotify e della quotanda Universal Music Group. Il SAMR, secondo quanto riportato dalla Reuters alla fine della scorsa settimana, sarebbe intenzionato a colpire la holding cinese dell’intrattenimento con una multa esemplare stimata in un miliardo e mezzo di dollari. Tencent rischia la pesante sanzione per non avere regolarmente dichiarato all'antitrust locale acquisizioni ed investimenti e per avere intrapreso pratiche anticompetitive. Alcune di queste pratiche illecite riguardano Tencent Music, finita sotto la lente del regolatore cinese relativamente alle sue piattaforme di streaming. La questione della violazione da parte del DSP cinese non è esattamente nuova, avendo occupato le cronache del business musicale oltre un anno fa, tuttavia lo shock creato dalla notizia è paradossalmente superiore perché l’impressione generale era da tempo che la faccenda fosse stata gestita. Tencent Music era detentrice di contratti in esclusiva per lo streaming musicale con le major discografiche, un’esclusiva che utilizzava a sua volta per sub-licenziare la musica soltanto alle proprie piattaforme (Kuwo, Kugou, QQ Music, WeSing – quest’ultima dedicata al karaoke). Quando l’organo antitrust si era fatto vivo minacciosamente tempo addietro, Tencent Music aveva promesso – e mantenuto, ad onor del vero – che alla scadenza dei contratti nel rinegoziarli avrebbe rinunciato all’esclusiva. Lo aveva già fatto negli ultimi mesi con UMG e WMG, aprendo così alla principale concorrente NetEase (dopo che Xiami Music, proprietà di Ali Baba – caduta in disgrazia per il giro di vite del governo contro il suo fondatore Jack Ma – aveva chiuso nel 2019). Va rilevato, tuttavia, che NetEase aveva denunciato l'applicazione nei suoi confronti di prezzi e termini svantaggiosi rispetto ai competitori. Apparentemente, quindi, il ravvedimento operato non sarebbe sufficiente per evitare la sanzione. D'altra parte il clima è piuttosto sfavorevole da che il governo cinese ha avviato una campagna quasi moralizzatrice in materia, colpendo la principale conglomerata locale Ali Baba (capitalizzazione: 776 miliardi di dollari) con una multa di 2 miliardi e settecentocinquanta milioni di dollari e lanciando il chiaro messaggio che nessuna multinazionale locale, nemmeno se controllata da un mitico magnate come Jack Ma, può accumulare poteri spropositati ed operare in totale autonomia. Se la sanzione che colpirebbe Tencent (capitalizzazione: 642 miliardi di dollari) appare ben più morbida rispetto a quella che si è abbattuta su Ali Baba, le modalità di disinvestimento richieste dall'antitrust potrebbero danneggiarla molto più del colpo pecuniario, poiché il regolatore cinese sembrerebbe orientato ad imporre la vendita delle app Kuwo e Kugou, qualcosa di molto difficile sia da realizzare che da sopportare – resterebbe intatto, invece, il controllo su WeChat.