‘Engaging with Music’ è un report periodico che è stato pubblicato la scorsa settimana da IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) e che è scaturito dall’analisi di un campione di 43.000 individui in 21 nazioni per indagare le abitudini di fruizione della musica nel mondo e tracciare, di conseguenza, un profilo del consumatore-tipo. Ne avevamo dato notizia qui. Ben organizzato ed impaginato, nella sua versione completa è disponibile qui. Ci siamo presi la briga di evidenziare gli aspetti che emergono come i più degni di nota, selezionandoli tra alcune attese rispettate, alcune rivelazioni per lo prevedibili ed alcune scoperte sorprendenti. A nostro parere vale la pena soffermarsi sui punti che seguono: La top 5 dei Paesi per tempo trascorso ascoltando servizi di streaming in abbonamento vede schierati in sequenza Messico, Svezia, Brasile, Germana e Regno Unito: non ce lo saremmo necessariamente aspettati, ma resta viva la curiosità sui dettagli di ciascuna realtà e, in particolare, su quanto possa eventualmente pesare la quota di musica non licenziata per ciascun mercato e quali sono i generi prevalenti in ognuno di essi (per entrambi i temi abbiamo comunque annotazioni interessanti di seguito). Il “music engagement mix”, ossia la composizione del tempo medio trascorso da un consumatore fruendo di musica ogni settimana, rivela un peso piuttosto relativo dei social media rispetto al percepito, sconta inevitabilmente l’effetto della pandemia per quanto attiene ai concerti e rivela tra le righe il peso crescente di TikTok; in ogni caso, risulta così formato: Per il 23% del tempo: musica consumata con audio streaming a pagamento Per il 22%: con video streaming Per il 16%: alla radio Per l’11%: mediante applicazioni di “short video” Per il 9%: con audio streaming gratuito finanziato da pubblicità Per il 9%: mediante musica acquistata e in proprio possesso (include formati fisici e digitali) Per il 5%: mediante “altre forme” Per il 3%: via social media Per il 2%: dal vivo Il tempo medio settimanale dedicato all’ascolto di musica è risultato pari a 18,4 ore per utente: è in crescita ulteriore rispetto alle 18 ore del rilevamento precedente e non è affatto male (sono oltre 2,5 ore al giorno). Le tre ragioni principali per cui si è disposti a pagare un abbonamento musicale in streaming sono risultate essere abbastanza ovvie, per quanto l’ultima costituisca un motivo di attrazione che poi evidentemente viene sfruttato in modo molto limitato (è, dunque, un efficace strumento di marketing dei DSP): Assenza di pubblicità che interrompe la musica Posso ascoltare ciò che voglio Accesso a milioni di canzoni La fascia 16-24 ammette un cospicuo coinvolgimento con utilizzo di musica non licenziata (include tanto le pratiche che comunemente indichiamo come copyright infringement quanto quelle di video streaming ripping). Ma è un problema che investe l’intero campione (30% e 27% rispettivamente per le due pratiche illegali). Vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno? E’ tutto target da convertire…. Gli acquisti fisici: il 12% del campione dichiara di avere acquistato almeno un CD nell’ultimo mese e l’8% almeno un vinile. Qui siamo all’interno del prevedibile. Che ne pensate? Interessante? Rivelatorio? (Oh, quasi dimenticavamo: i primi tre generi preferiti sono risultati pop, rock e 90’s. Alla faccia dell’urban, del trap e del reggaeton, verrebbe da dire. Ma, soprattutto, verrebbe da dire: la festa del catalogo è qui).