La notizia della sospensione delle attività in Russia da parte di Warner Music va al di là della posizione condivisa dall'industria discografica globale alla luce dell'invasione militare dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca. Da un punto di vista squisitamente commerciale, con l’apertura della sua piattaforma in una serie di nuovi paesi nel 2020, Spotify aveva di fatto posizionato la Russia al centro delle mire sui mercati emergenti da parte delle major musicali. E obiettivamente la più pronta a valorizzare la mossa del DSP si era dimostrata proprio WMG, la cui presenza locale era stata costruita in buona parte tramite due acquisizioni che avevano avuto il merito di radicarla in Russia con estrema rapidità. La prima era stata perfezionata anni prima, la seconda sarebbe avvenuta solo un anno fa. Nel 2013 la major aveva acquistato la indie russa Gala Records, fondata nel 1988 dal suo CEO Alexander Blinov che l’avrebbe fatta crescere anche gestendo il catalogo EMI in tutti gli ex paesi dell’URSS per vent’anni. Con la vendita di Gala a WMG, Blinov diventò direttore generale di Warner Music Russia. Esattamente un anno fa,poi, Warner Music aveva acquisito anche Zhara Music, un’altra indie che però è stata immediatamente riconvertita in una storica etichetta del gruppo, diventando Atlantic Records Russia. E’ ragionevole affermare, quindi, che la più colpita dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino sia, tra le major, proprio WMG. Da un lato perchè la sua forza-lavoro locale era circa due volte e mezzo quelle di UMG e SME (circa 40 unità la prima e 35 la seconda, contro il centinaio di individui della terza, incluso lo staff locale di Ada). Dall’altro perchè oltre il 99% dei diritti di voto della major quotata è nelle mani di Access Industries, l’entità che aveva acquisito la label nel 2011 per 3,3 miliardi di dollari, togliendola dal mercato per poi ritrasformarla in public company anni dopo. Oggi Access, secondo quanto si apprende dalla SEC, detiene anche dopo la quotazione un interesse economico pari al oltre il 73% di WMG, ed è saldamente nelle mani del suo fondatore. Un abilissimo uomo d’affari ucraino. Il suo nome è Len Blavatnik. Le origini Il sogno americano di Leonid Valentinovich Blavatnik inizia in modo del tutto convenzionale: figlio di accademici di origini ebraiche, il futuro tycoon nasce nel 1957 a Odessa, la città - oggi in Ucraina, ma all’epoca parte dell’Unione Sovietica - del tragico massacro del 1941 perpetrato dalle truppe rumene e tedesche proprio nei confronti della comunità ebraica locale. In giovane età Leonid si trasferisce con la famiglia a Yaroslavl, piccola cittadina non distante da Mosca, dove, qualche anno dopo, studierà ingegneria e informatica. Nella seconda metà degli anni Settanta il governo sovietico inizia a concedere ai propri cittadini di origini ebraiche i visti per poter emigrare: la famiglia Blavatnik coglie al volo l’occasione e, nel 1978, si trasferisce a New York. In meno di dieci anni nella Grande Mela Leonid non solo acquisisce la cittadinanza americana, ma consegue anche un master in informatica alla Columbia University, si fa assumere nella divisione IT della catena di grande distribuzione Macy’s e, nel 1986, fonda - ancora prima di prendere un master in Business Administration, ad Harvard, nel 1989 - la società di investimenti Access Industries. La costruzione della fortuna Non si tratta solo di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Nel 1991 crolla l’Unione Sovietica e Leonid, pure a distanza, studia la situazione. Mentre la Access Industries muove i primi passi, Blavatnik costituisce - come socio di minoranza al 40% - con l’ex compagno di scuola Viktor Vekselberg il Renova Group, che, insieme alla stessa Access Industries, contribuirà alla nascita della Siberian-Urals Aluminium Company, società - poi confluita nel gruppo russo-anglo-svizzero RUSAL - ancora oggi tra le principali aziende operanti nel settore della produzione e commercializzazione di lavorati e semilavorati di alluminio, con interessi nelle attività di estrazione di bauxite e silicio. E’ il 1996, e a guidare i mercati sono le risorse fossili. Blavatnik e Vekselberg lo sanno, e - tramite SUAL - iniziano a fare shopping selvaggio in Kazakistan, mettendo a segno un colpo che li farà passare più e meno alla storia: i due acquisiscono dal governo kazako (all’epoca guidato dal discusso Nursultan Nazarbayev), ansioso di avere partner americani a mo’ di garanzia contro l’incombente revanscismo russo, una delle più grandi miniere di carbone del mondo. “Hanno comprato per 25 milioni qualcosa che ne vale più o meno 700”, disse un concorrente, Dale Perry della AES, probabilmente scottato dallo scippo dell’affare. Nel 1997, sempre tramite Access, Leonid acquisisce il 40% delle quote della TNK, società petrolifera ex-sovietica in via di privatizzazione che verrà spartita tra Blavatnik e British Petroleum: l’affare, non privo di lati poco chiari che arriveranno a interessare anche l’ambasciata americana a Mosca, si concretizzerà qualche anno dopo, nel 2003, quando BP investirà otto miliardi di dollari per dare vita al colosso TNK-BP, operazione che - secondo quanto riferito dal Financial Times - frutterà a Leonid la bellezza di due miliardi di dollari. Ed è solo l’inizio: nel 2013 la società energetica russa Rosneft acquisisce TNK-BP per 55 miliardi di dollari. Access Industries vende la sua quota di partecipazione ingrossando le proprie casse di sette miliardi di dollari. (continua)