La partnership col FC Barcellona annunciata lo scorso 15 marzo è costata a Spotify 306 milioni di euro: la somma, secondo quanto riferito dall’emittente radiofonica catalana Rac1 e dal fondatore di Huddle Up Joe Pompliano, permetterà al DSP guidato da Daniel Ek non solo di diventare main sponsor della compagine blaugrana, vedendo il proprio marchio impresso sulle divise delle squadre femminile e maschile del club, ma anche di essere protagonista di un’operazione di naming dello stadio di casa della formazione catalana, che per quattro anni dal prossimo mese di luglio, quando l’accordo sarà in essere - dopo la ratifica dell'Assemblea Straordinaria dei Soci Delegati che avrà luogo il 3 aprile - vedrà la struttura venire ribattezzata “Spotify Camp Nou”. L’investimento è stato presentato dalla società svedese quotata a Wall Street come un’operazione volta a “sfruttare l’accesso” alla popolarità del club per “promuovere gli artisti e favorirne la scoperta”, “ad esempio attraverso l'utilizzo dei display digitali dinamici per mostrare e geo-localizzare artisti rilevanti al pubblico televisivo globale del Barça. Mentre gli spettatori in Europa potranno visualizzare uno spot relativo a un artista, i telespettatori in India potrebbero ricevere un messaggio diverso e più pertinente a livello locale”. “In secondo luogo, come sponsor presente sulla divisa, Spotify lavorerà per creare una nuova soluzione per amplificare le voci degli artisti”, ha proseguito l’azienda nella nota ufficiale: “Pensiamo che questo possa essere più di un semplice logo Spotify su una maglietta. La domanda che ci siamo posti è: come può Spotify collaborare con il Barcellona per rendere la maglia qualcosa di più grande, che offra maggiori opportunità di visibilità per gli artisti?”. In attesa di vedere quali soluzioni saranno adottate per attuare l’ambizioso piano di connubio virtuoso da sport e musica, tra gli addetti ai lavori non sono mancati i primi commenti, non necessariamente entusiasti. L’obiezione principale, a livello internazionale, è quella secondo la quale - semplicisticamente - Spotify preferirebbe pagare i calciatori che non gli artisti. Secondo le ultime stime, il DSP pagherebbe royalties (sulla musica registrata, e considerando il modello pro-rata che distribuisce i ricavi regolandosi sulle quote di mercato) pari a circa 0,003 dollari per stream. La star portoricana del reggaetton Bad Bunny, la più ascoltata nel corso del 2021 su Spotify, sui server del DSP svedese ha fatto registrare complessivamente 9,1 miliardi di passaggi, che - a 0,003 dollari a passaggio - dovrebbero aver generato a beneficio dell’artista poco più di 27 milioni di dollari. Seguendo il ragionamento - non scevro da qualche distorsione ma indicativo dell'umore di parte del settore - per arrivare 310 milioni di dollari (cifra che, secondo altri, sarebbe pari a più dell’8% di quanto speso da Spotify in marketing e promozione negli ultimi quattro anni) un artista o una band dovrebbero accumulare qualcosa come oltre 100 miliardi di streaming. Senza contare le operazione relative alla promozione degli artisti tramite la visibilità offerta dalla partnership, che - se non integralmente - potrebbero essere utilizzati dai gestori del servizio per rientrare dall'investimento sotto forma campagne (ovviamente a pagamento) concordate con i propri partner discografici, cosa che discriminerebbe la quasi totalità degli artisti presenti sulla piattaforma.