Nel maggio 2021 nasceva Royal, una startup creata per vendere quote di proprietà di royalties direttamente ai fans. L’azienda è stata lanciata da Justin Blau, in arte 3Lau, effettivamente uno dei pionieri tra gli artisti musicali ad abbracciare la realtà degli NFT. Il debutto della piattaforma era solo apparentemente analogo a quello di molte altre celebrità: avveniva con la vendita in versione NFT di una canzone di 3Lau pubblicata in un pezzo unico, “Waveform”. Ma l’operazione - che Royal ha gestito in collaborazione con la casa d’aste Christie’s e con OpenSea (un marketplace di NFT) – aveva una particolarità: il 100% delle royalties del pezzo venivano trasferite al compratore, da quel momento anche titolare del master e dei diritti di edizione. Il prezzo dell’NFT venduto sulla blockchain ethereum: 127 ethers, o ETH, pari a circa $550.000. Il business di Royal avviene all’incrocio tra le cosiddette licenze frazionate e la blockchain. Le licenze frazionate corrispondono a quella pratica di vendere parte dei flussi di ricavo generati dai diritti di registrazione e/o di edizione per anticipare un incasso e acquisire liquidità immediata. La sua applicazione nella blockchain aggiunge, tra gli altri elementi, quello della tracciabilità della transazione. Significa che viene originato un mercato secondario che consente a un proprietario precedente di ricevere una percentuale anche del prezzo di rivendita. Sullo sfondo di questo modello si stagliano due elementi: la vasta platea degli artisti indipendenti e la relazione tradizionalmente controversa tra un artista e la sua etichetta. Esacerbata nell’economia dello streaming, con le labels che hanno ricominciato a massimizzare i profitti – grazie alla rivalutazione dei cataloghi sulle piattaforme – e con la massa degli artisti non appartenenti all’élite che, invece, non riesce a trarne auto-sussistenza. Di qui, due conseguenze: l’aumento della quota di artisti indipendenti e l’affermazione dell’idea di monetizzare la propria carriera con qualsiasi altra forma alternativa a uno streaming incapace di costruire un vero reddito (creators economy). Nel tentativo di centrare l’obiettivo della disintermediazione del ruolo delle etichette, essere indipendenti ed attivi sulla blockchain sono due requisiti centrali. Justin Blau era consapevole di questo scenario. La sua ascesa come produttore di dance e elettronica è passata da successi ottenuti per superstar come Ariana Grande. Rihanna, Katy Perry. Poi, nel 2016; fondava la sua etichetta Blume Records; il suo incontro con i gemelli Winkelvoss - due ex olimpionici di canottaggio, miliardari in bitcoin e resi noto dal film “The Social Network”: sono i fondatori di ConnectU, la società creata a Harvard per la quale fatto causa a Mark Zuckerberg, accusato di averla copiata per creare Facebook) - lo avvicinava al mondo crypto ed alla comprensione del potenziale di una valuta come l’Ethereum per l’industria musicale. Gli smart contracts, infatti, possono eseguire transazioni in modo automatico senza il ricorso ad un intermediario. Royal ha preso forma dopo che Blau ha venduto all’asta una serie di NFT del suo album “Ultraviolet”, capaci di generare ricavi per quasi 12 milioni di dollari. Un episodio che è diventato sia un caso di studio che una dimostrazione di come la blockchain poteva cambiare l’industria musicale: aggirando le labels e vendendo la proprietà della propria musica direttamente ai fans. Per pareggiare i ricavi ottenuti con la vendita diretta di “Ultraviolet” come NFT, nel caso fosse stato vincolato a un’etichetta le copie vendute e/o gli stream necessari sarebbero stati quasi impossibili da ottenere, e comunque in nessun caso immediati. Il nome stesso di Royal richiama le royalties, che sono al centro del suo modello e del suo obiettivo: è una piattaforma che consente agli artisti di vendere direttamente ai loro fans quote della loro proprietà. Il sistema è basato sui cosiddetti Limited Digital Assets (LDA): un artista stabilisce quanta parte delle sue royalties riservare ai fans e in quante “edizioni ufficiali” coniare un brano. La piattaforma abilita la vendita dei token LDA, che creano liquidità immediata per l’artista e offrono la possibilità di generare ulteriori guadagni futuri da parte dei possessori della canzone (in caso di rivendite successive). Nel modello di Royal (che guadagna commissioni sia dalla vendita primaria che da quelle secondarie) è plausibile assumere che una canzone con 100 “edizioni ufficiali” attribuisca a ciascun possessore una quota dello 0.5% delle royalties che genera. Rispetto al tradizionale schema contrattuale tra artista e etichetta, il piano è sostanzialmente ribaltato: se in quel caso la label trattiene circa l’80% di tutte le royalties future, sulla blockchain sarebbe l’artista a trattenere l’80%. Con gli artisti a restare proprietari esclusivi del proprio business su internet, anche i fans entrano in affari: cessano di essere semplici generatori di likes, condivisioni e commenti e si trasformano in distributori, evangelizzatori. Royal ha attratto investimenti da Creative Artists Agency, WME, Nas, The Chainsmokers, Logic, Kygo. Tra i suoi primi concorrenti spiccano SongVest e Royalty Exchange.