Degli NFT parliamo spesso. Si tratta dei “non fungible tokens”, che poggiano su una tecnologia disponibile dal 2014. Sono poi cresciuti di popolarità verso il 2018 grazie al mondo dell’arte che ne ha esaltato le caratteristiche di articoli da collezioni digitale. E sono diventati straordinariamente celebri nel 2021 grazie alla musica. I cui personaggi, contando su una popolarità di svariati ordini di grandezza superiore a quella dei creatori di opere d’arte, ne hanno esaltato proprio il potenziale da collezionismo, grazie a una relazione diretta con fanbase affezionate e agguerrite. Curiosamente, invece, gli NFT sono cordialmente detestati dal pubblico di un comparto che fa maledettamente sul serio in tema di metaverso – ossia il gaming, i cui giocatori si sentono spremuti economicamente dalle case di produzione che “forzano” l’acquisto da parte loro di NFT per potere competere meglio. Ma gli NFT presentano un lato oscuro, come è noto agli iniziati: quello che riguarda l’impatto ambientale della blockchain sulla cui tecnologia sono creati. Questo fatto rappresenta una specie di sgradevole anti-climax in un ambiente, quello dei musicisti indipendenti, sempre più sensibile alla questione green e alla sostenibilità della musica. Come la blockchain impatta negativamente sull’ambiente? Qui bisogna sporcarsi un po’ le mani e provare a rendere accessibile il lingo dei professionisti del comparto. La bassa sostenibilità ambientale di cui è tacciata la blockchain dipende dal dispendio di energia necessario per la produzione dei token digitali – sia le criptovalute, che sono token fungibili, sia gli NFT, che sono non-fungibili. Tecnicamente, nella blockchain si svolge un’attività detta mining (“to mine” significa estrarre) che corrisponde al processo di registrazione e validazione di una transazione: l’estrazione di token richiede la soluzione di complessi problemi crittografati, ossia la cosiddetta Proof of Work (PoW). Tutto energeticamente molto dispendioso, ergo inquinante. Sostituire il mining con il minting (potremmo definirlo il conio di nuova moneta digitale) equivale a passare dall’estrazione alla validazione di un’informazione e rimpiazzare il PoW con il “proof of stake” (“PoS”), molto meno dispendioso. Sulle blockchains basate sul proof-of-stake, la richiesta è di depositare la criptovaluta a garanzia per l’opportunità di approvare con successo le transazioni. Un processo più facile rispetto al primo e soprattutto, secondo una serie di studi condivisi sui media, capace di utilizzare il 99,99% di energia in meno. Su questo versante si inserisce la specializzazione di alcune startup. Di OneOf abbiamo parlato a proposito dell’NFT di Keith Richards. Ancora più recentemente ci siamo occupati della raccolta di capitali di Serenade. Entrambe sono piattaforme che si definiscono green per la creazione di NFT, pur operando su blockchain diverse – rispettivamente Tezos e Polygon, progettate sulla PoS e non sulla PoW. Le loro dichiarazioni sono perentorie: ricorrere a Tezos, sostiene OneOf, fa sì che il minting dei suoi NFT utilizzi ben due milioni di volte meno energia rispetto alla blockchain media; la produzione di un NFT mediante Polygon, sostiene Serenade, costa solo un decimo dell’energia impiegata per postare un tweet. E Polygon è stata usata dal WWF per produrre i propri NFT… Proprio un simbolo ecologico per antonomasia come il World Wildlife Fund è stato a quel punto additato ad esempio negativo di come la conversazione tecnica, così come sopra abbozzata, celi in realtà aspetti misinformativi o addirittura disinformativi. Ad alzare il tono della polemica è stato Alex de Vries, noto “digiconomista”, che ha fatto notare come Polygon operi a monte ancora con una serie di smart contracts sulla rete Ethereum i quali, se fossero inclusi nel calcolo finale della produzione di un NFT (e secondo lui dovrebbero), porterebbero l’emissione di CO2 di una transazione su Polygon a 430 grammi – pari a 2.100 volte in più rispetto alla stima dichiarata dal WWF. Dibattito fluido, dinamico, pieno di lati oscuri per i non iniziati – come noi, peraltro. Se non altro un memento per tutta l’industria musicale quando si parla di sostenibilità: chiamare green o eco-friendly una piattaforma di NFT equivale, a quanto pare, a una dichiarazione piuttosto impegnativa.