“Comunque vada sarà un successo”, ripeteva anni fa un noto presentatore TV. Era tutt’altro scontato che l’edizione Italiana di Eurovision Song Contest lo fosse. Non solo per il precedente disastroso del 1991 (un’era geologica diversa), ma per le tante variabili di una macchina enorme e complessa, con il resto dell’Europa (e degli eurofan, i loggionisti digitali dello show) pronti a impallinare la Rai. Qualche problema c’è stato, a partire dal palco, ma complessivamente è stato un successo. Sia per l’Italia, con un’audience oltre ogni previsione: 6 milioni 590 mila, con uno share del 41,9 per cento per la finale. “Numeri da fiction per uno show musicale”, come mi ha spiegato il regista Duccio Forzano. E per l’immagine del nostro paese verso l’estero, con l’European Broadcasting Union - la federazione dei Broadcaster che supervisiona lo show - abbondantemente soddisfatta. Proviamo a fare un’analisi di quello che è successo, e di quello che succederà in futuro. La musica: il flop di Achille Lauro, Mahmood e Blanco solo sesti È la componente di base, ma in realtà quella meno importante in uno spettacolo così grande. Le canzoni sono sempre così così (le mie preferite: il pop da manuale della Svezia, il rock psichedelico della Georgia) e funzionano per lo spettacolo più che per la musica in sé. Le performance di questa edzione, va detto, in realtà sono state spesso un po’ piatte per via del palco che non funzionava come da progetto. Un buon esempio di come funziona Eurovision è Achille Lauro: è entrato in gara grazie all’escamotage delle selezione di San Marino. Pensava di farsi notare con la forza della sua performance: che era effettivamente notevole, ma non è bastato, perché “Eurovision è una campagna elettorale”, come mi ha spiegato l’autore e producer Eddy Anselmi: qua non lo conosceva nessuno ed è stato eliminato in semifinale (anche se la delegazione nutriva grandi speranze). Mahmood e Blanco se la sono cavata con un dignitoso sesto posto, un po' sotto alle aspettative da podio, con una canzone che oggettivamente era un gradino sopra al 90% delle altre. Sono apparsi inizialmente molto stanchi e spaesati (come si è notato nella brutta prima conferenza stampa per i media internazionali, diventata un meme sui social). Nelle ultime prove erano decisamente più a fuoco e in finale sono andati abbastanza bene, anche se la messa in scena della canzone non era così efficace: molto scura e senza una grande drammaturgia. Lo show: il capolavoro di Diodato La parte prodotta direttamente dalla RAI ha avuto il momento più bello di tutto Eurovision: la performance commovente di Diodato, un racconto emozionante di questi due anni concentrato in 3 minuti. Per il resto si è visto un bel racconto del nostro paese con cose più belle e altre meno, inevitabilmente, e anche con differenze abbastanza visibili tra la mano dei due registi Duccio Forzano e Cristian Biondani, che si sono alternati su performance dei paesi e ospiti. I tre “host” hanno interpretato bene il loro ruolo di “maestri delle cerimonie”, con ritmo e senza troppo protagonismo (anche se la cover di Mika-Pausini su Sting/Patti Smith era davvero brutta, al di là delle nobili intenzioni del messaggio di racconto della fragilità/potere dell’umanità di questo periodo). La Rai Grandi sorrisi e grande soddisfazione, ovviamente: se pensiamo che siamo tornati in gara solo 11 anni fa e che pure in questo periodo c’è stata una parte della RAI molto scettica sulla manifestazione, se non spaventata di doverla organizzare. Qualche intoppo c’è stato: la questione del palco che non funzionava ha generato una shitstorm sui social media costringendo la EBU a prendere posizione contro i violenti attacchi personali degli eurofan. Ma l’aria che si respirava a Torino, in sala stampa e tra gli addetti ai lavori delle varienazioni, era di una macchina che stava funzionando bene: “in qualche modo ce la facciamo sempre”, ha sintetizzato Alessandro Cattelan in conferenza stampa, raccontando il suo sketch che ironizzava proprio su questa dimensione. Critiche sui social per il commento sul RaiUno di Malgioglio, Corsi e Carolina Di Domenico, ma hanno avuto ragione: è servito a rendere accessibile e divertente lo show per un pubblico che non lo conosce. Risultato: ascolti alle stelle (complice anche la finale di “Amici” spostata a domenica, lasciando campo libero. Il futuro L’anno prossimo è un’incognita per ovvi motivi. Martin Österdahl, supervisore esecutivo dell'Eurovision Song Contest, in conferenza stampa ha consegnato il "welcome pack" alla delegazione ucraina, dando così un segnale forte su dove vorrebbe organizzare il prossimo anno lo show. "Noi faremo di tutto per far succedere Eurovision Song Contest l'anno prossimo nella nuova e pacifica Ucraina", ha risposto il capo della delegazione. Ovviamente si valuteranno altre opzioni, non dovessero esserci le condizioni. L’organizzatore dell’ultima edizione ha una sorta di prelazione, in questo caso ma la Rai non sembrerebbe intenzionata a ripetersi, dopo questo successo. Meglio lasciarlo lì dov'è: ha anche incassato i complimenti di Österdahl, che lo ha definito “un grande show e un grande lavoro” quello messo in piedi dal broadcaster italiano. L'Eurovision Italiano rimarrà comunque negli annali, soprattutto per la Rai. In questi giorni qualcuno ha provato a dire che Sanremo dovrebbe imparare, ma è un paragone improprio: due macchine e due shew molto diverse per struttura e contenuto. Impossibile pensare ad una scaletta così serrata, perché sanremo vive di varietà, ospiti e polemiche di serate lunghissime. Qualche meccanismo però potrebbe essere importato, per esempio nella spettacolarizzazione delle performance, nella gestione della comunicazione (ne abbiamo parlato qua) o nell'uso di YouTube: pochi minuti e c'era ogni video (anche a Eurovision RaiPlay è stata abbastanza in sordina). Il dato che rimane più di tutti è un altro. Sebbene sarà difficile ricreare l'entusiasmo di questa edizione italiana, il vero successo è che ormai anche in Italia Eurovision Song Contest non è più uno spettacolo da fan: è definitivamente diventato mainstream, uno show per tutti.