Nel primo semestre di quest’anno, indicano i dati pubblicati da Luminate /MRC Data, i primi dieci brani della classifica di periodo hanno generato circa un miliardo di stream complessivi meno rispetto a quelli che erano in top 10 nel semestre del 2021. Tuttavia, come è noto, non si sono udite campane a morto. Anzi. D’altro canto si ricorderà che Hartwig Masuch, CEO di BMG, aveva celebrato quello stesso primo semestre 2022 in ascesa per la sua label affermando: “La cosa straordinaria è che siamo cresciuti del 25% praticamente senza hits”. Perché accade? Il minore peso dell’élite (= i brani da alta classifica di artisti celeberrimi) rispetto al totale degli stream generati dipende da un fattore aritmetico: il numero di canzoni caricate sulle piattaforme continua ad aumentare – sono molte decine di migliaia al giorno – incrementando il denominatore della frazione da cui deriva quella proporzione. A sua volta, questo incremento di offerta dipende da una situazione tecnologica consolidata: l’assenza di barriere all’ingresso per la produzione e la distribuzione di brani audio ha aperto all’espansione costante del comparto indipendente, altrimenti battezzato “artist direct”, che cresce più rapidamente del resto dell’offerta. Così, oltre a quello della suddetta élite, cala anche il peso relativo delle major rispetto alla discografia nel suo complesso. Alla maggiore quantità di brani disponibili per i DSP, infine, si accompagna una platea sempre più vasta: gli iscritti ai servizi di streaming sono tuttora dati in notevole progressione, soprattutto nei mercati emergenti e nelle piattaforme alternative a quelle occidentali più note: in una dimensione globale per natura come quella in questione, ciò conta molto. Cosa significa? L’affermazione del CEO di BMG – che ha rappresentato un flusso di ricavi in ascesa “costante” - potrebbe tradursi in una linea retta che sale di qualche grado verso destra nel grafico. Una rappresentazione che, per qualsiasi azienda, evoca il Nirvana, ammesso che i costi crescano meno che in proporzione. Quando quella linea retta che sale senza essere spezzata da picchi o da flessi raffigura introiti da streaming musicale, stiamo assistendo alla monetizzazione della “coda lunga”. Per coda lunga intendiamo, in sintesi, un insieme molto numeroso di nicchie che, prese a sé stanti, sarebbero poca cosa. Aggregate, però, creano un'enorme massa critica. E nel modello di business dello streaming musicale le nicchie possono essere aggregate senza sforzi particolari all’interno dello stesso schema di distribuzione. E’ un modello molto scalabile: la distribuzione di un brano e il numero di stream che genera possono aumentare in progressione geometrica con costi marginali tendenti a zero. Quali le conseguenze? Nel caso delle label, è interessante osservare cosa accade alla struttura dei costi fissi. Se è acclarato che di recente stanno crescendo in proporzione molto inferiore ai ricavi, c’è semmai da chiedersi come il fenomeno in esame potrebbe progressivamente variarne la ripartizione. I tradizionali budget ultra-milionari destinati ai "blockbuster" potrebbero perdere di intensità e frequenza, in quanto meno necessari, lasciando spazio a più iniziative sul fronte A&R, un’attività a sempre maggiore trazione tecnologica rispetto al passato. Più A&R e meno marketing significa anche una composizione dei costi di struttura più virtuosa, poiché la ricerca e sviluppo si colloca tra gli investimenti e non tra le spese correnti o i costi variabili, concorrendo a incrementare il valore degli asset in portafoglio. E una superiore quantità di dati a disposizione per l’A&R, insieme al valore di una platea globale, promette anche una sua incidenza percentuale inferiore rispetto al passato (ossia: una label potrebbe anche spendere sempre più in A&R in valore assoluto, diminuendone tuttavia il peso relativo rispetto ai ricavi, che crescono più rapidamente). Steve Cooper, CEO in uscita di Warner Music Group, ha rafforzato la settimana scorsa il commento estivo del collega di BMG esprimendo un concetto forte: WMG, nella sua visione, si sta affrancando dalle superstar, sta diventandone sempre meno dipendente. Una moltitudine di nicchie Ricavi da streaming in crescita costante, dunque, si accompagnano a una frammentazione dei consumi che tende a ridimensionare progressivamente il peso delle grandi star e anche la loro singola dimensione di fenomeno economico e di vendita, rispetto al passato. Continuano, quindi, le ottime prospettive per il comparto indie, senza però che le major abbiano a disperarsene: semplicemente, come sembra suggerire Cooper, dovranno lavorare diversamente sul roster. Ogni segmento di pubblico decreterà, per affinità, il suo successo dell’anno, o il suo tormentone estivo, o il suo artista del periodo. Ogni ascoltatore avrà la “sua” hit. Ogni nicchia, presa a sé stante, equivarrà al mainstream.