Il numero chiave di questo articolo è 100. Come le 100 mila canzoni caricate ogni giorno sulle piattaforme di streaming. E come i 100 milioni di brani accatastati nelle library di ciascuno dei principali DSP. Oh - un’avvertenza: sono dati a rapidissima obsolescenza: oggi, infatti, prevalgono pezzi caricati da utenti che, indossato il cappello da artista o da creator, entrano nell’arena digitale a bassissimo costo ma che sono, comunque, esseri umani in carne e ossa. Domani, però…? Chissà: con i progressi rapidissimi dell’intelligenza artificiale applicata alla musica, questa massa quotidiana potrebbe crescere a dismisura. Cosa comporta tutto questo? Per la grande massa di nuovi artisti: sensazioni che oscillano tra la soddisfazione (se per loro era un gioco, scatta l’orgoglio da micro-star: “è uscito il mio disco e lo trovi su Spotify!”) e la frustrazione (se non avevano capito nulla, ecco un gelatissimo bagno di realtà che assume la forma di un pubblico di poche decine di teste cadauno, con guadagni a zero e zero possibilità di scalare in popolarità). Per gli utenti: nulla se sono fans (perché questa che resta la minoranza del pubblico musicale complessivo sa cosa ascoltare e vanta gusti, preferenze e competenze); sconcerto e contenuti di qualità bassa come quella dell’esperienza alla quale sono sottoposti se, invece, sono consumatori: l’algoritmo che deve dare un senso a tutti questi contenuti non è un gran compagno di viaggio, dopo tutto. Per i DSP: frenetiche e irrefrenabili attività di ingesting significano costi in progressivo e preoccupante aumento, perché nello streaming la parte scalabile del business è la distribuzione (il costo incrementale per una label di distribuire un'unità di brano in più è nullo), mentre storage e broadcasting non lo sono – le spese di cloud computing e hosting lievitano in modo impressionante all'aumentare di quantità e frequenza. Per gli utenti (di nuovo): il pericolo di un incremento dei prezzi, causato dai costi in aumento per i DSP e, ammettiamolo, agevolati dalla mossa di Apple che per prima ha rotto il ghiaccio. Per i DSP (di nuovo): l’obbligo di ripensare un servizio di qualità, perché un pezzo confezionato con un software e un pc in camera da letto da un volenteroso hobbysta non può concorrere alla tariffa di abbonamento in misura analoga a quella di una vera canzone di un vero artista. 100mila brani al giorno non sono il segno della più recente creators economy. Sono il marchio del vecchio user generated content. C’è differenza.