Lucian Grainge ha adagiato Daniel Ek sulla graticola e ha già acceso il fuoco sotto la carbonella. Lo ha fatto chiarendo che 100.000 nuovi brani caricati ogni giorno sulle piattaforme di streaming sono solo inquinamento acustico e creano quell’“oceano di rumore” nel quale affoga la musica “vera” e meritevole di essere correttamente remunerata. Considerazioni che giungono in un momento storico in cui tutto va splendidamente per UMG (il CEO cita anche i grandi risultati dell’Italia per la prima volta) e per l’intero settore della musica registrata. Molto meno, invece, per il comparto dei DSP, ai cui abbonamenti in ascesa non corrispondono mai utili in bilancio. Prendendo ad esempio il leader di mercato, è a loro che le sue critiche sono rivolte. Nel ricordare che meno di dodici anni fa Spotify faticava a essere accettata negli Stati Uniti, il paese che da solo le avrebbe permesso l’agognata scalabilità, Lucian Grainge ha rivendicato un ruolo fondamentale da parte di UMG nello sbloccare una situazione che oggi vede il provider svedese carico di quasi 200 milioni di abbonati – cosa buona e giusta – ma anche di troppe decine di milioni di brani irrilevanti, che non fanno che aumentare su base oraria. Il CEO della major quotatasi alla borsa di Amsterdam nel 2021 ha definito quanto sopra una stortura, un effetto perverso (“prodotti di risulta”) di una crescita inimmaginabile solo un decennio fa, e ha affermato che UMG è già al lavoro per sperimentare un nuovo modello di business. Quale? Uno che non metta generi e artisti di diverso status e casacca (major, indie o DIY) l’uno contro l’altro, spiega Grainge, ma che li faccia vincere tutti quanti regalando all’altra parte dell’equazione – i fans, alias i consumatori – un’esperienza piacevole, agevole e trasparente. E come? Certezze non ce ne sono, indizi sì. Innanzitutto, secondo Grainge, è tra quei 100.000 nuovi brani quotidiani che affondano le radici dei fake streams: lo ha detto senza giri di parole, rincarando la dose con il commento su quei numerosissimi pezzi scelti solo perché la loro licenza costa meno ai provider che, poi, usano l’algoritmo per imporli all’ascolto di un consumatore la cui esperienza sulla piattaforma si fa via via sempre meno gratificante e più confusa. L’accusa alle piattaforme di streaming di sfruttare la “musica buona” creata dall’industria per fare ricavi a più alto margine ricorrendo al grimaldello della tecnologia - per escluderne l’industria stessa - è, a mio parere, un argomento forte. Ed è pure un contrattacco con cui capovolge sulla testa il ragionamento con cui TikTok irrita da mesi l’industria musicale, quello secondo il quale la musica che fa da colonna sonora ai video brevi (a) non è la ragione per cui gli utenti vanno su TikTok e (b) non è da considerarsi fonte di monetizzazione bensì solo uno strumento di marketing con cui le label, sfruttando la notorietà che la app regala alle loro canzoni, ne monetizzano poi l’ascolto sulle piattaforme di streaming. Secondo Grainge sono invece i DSP (insieme ai social media, non più ancillari per i ricavi delle etichette) a sfruttare la notorietà degli artisti per attrarre abbonati e consumatori da monetizzare impropriamente usando tutto quell’inutile white noise, tutti quei brani-truffa da 31 secondi. Se le parole hanno un peso, poi, ecco altri due elementi. Da un lato nel suo memo ai dipendenti di UMG parla sempre di “modello di business” e non di “metodo di ripartizione”. Dall’altro non c’è traccia di “user centric” ma, al contrario, l’enfasi è sul concetto di “artist centric”. Così facendo, Grainge ha sostanzialmente chiarito (o meglio: ribadito, perché non è per lui un’opinione inedita) che la sua label non è particolarmente incline a sostenere lo UCPS al posto del metodo pro-rata, mentre pare che lasci intendere che il discrimine tra il modello di business attuale e quello che verrà potrebbe essere basato sulla distinzione tra artisti veri e non. Ammesso che sia così, è difficile ipotizzare come ciò possa essere codificabile. Tuttavia, avendo citato anche il volume del rumore in costante aumento “sul mercato”, viene spontaneo pensare che difesa della vera arte a tutela dell’abbonato e una qualche forma di regolamentazione del mercato possano diventare due leve della stessa tenaglia. Nel mirino di Grainge, inoltre, c’è anche l’algoritmo: non è casuale che si tratti dell’unico fattore interamente controllato dai DSP. L’algoritmo influenza il marketing mix della musica in streaming in due parametri su quattro: promozione e distribuzione in piattaforma (gli altri due, prezzo e prodotto – quelli essenziali – sono saldamente nelle mani delle label). Il che riconduce all’osservazione sulle licenze “farlocche”, un’indicazione di come il discografico più potente del mondo non intenda allentare la presa su Spotify et similia: non solo i conti delle etichette vanno stra-bene mentre quelli dei DSP arrancano; non solo le quotazioni in borsa delle prime tengono e quelle dei secondi crollano; ma anche il tentativo dei DSP di centrare gli utili limando il loro costo del venduto (in larga parte: le licenze) viene preso di mira. Le licenze non possono che essere al centro del ragionamento e del piano di Grainge, come suggerisce il cenno alla corretta monetizzazione degli short video (con TikTok mai menzionato). La formula del successo senza hit, che stabilizza i flussi di ricavo e regala una crescita a due cifre da qualche anno, comincia a stare stretta a Grainge: ciò che funziona nel breve termine potrebbe nuocere al successo di lungo periodo. Di qui la critica a un modello che giova ai conti della sua azienda e dell’industria. Perché? Crede forse che l’industria stia lasciando soldi sul tavolo? Oppure teme che l’industria si stia sedendo sugli allori e che le stia sfuggendo il pericolo di alienarsi la fedeltà dei fans? La sua lunga esternazione inizia enfatizzando qualità e padronanza della tecnologia come stelle polari di una UMG leader del cambiamento. Ma mentre il suono immersivo è una cosa di studio, esattamente il suo humus, oggi un Uomo Nero attraversa le praterie della tecnologia: si chiama AI e, a braccetto del detestato algoritmo, promette di invadere le piattaforme con tanta musica artificiale. A proposito di modelli, licenze, tecnologia e rumore bianco – che Grainge stia pensando proprio a questo…?